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Filmaker DOC Film Festival: report dal 22/11/2006 al 25/11/2006


Altri sguardi e altre riflessioni all’interno di “Paesaggi Umani”, la sezione del Festival Filmmaker che promuove le opere di giovani autori dando loro un sostegno alla produzione. Lo scopo è quello di raccontare Milano e la Lombardia.


Filmaker DOC Film Festival: report dal 22/11/2006 al 25/11/2006
"Sesto: Le Radici" di Sabrina Bonaiti
Altri sguardi e altre riflessioni all’interno di “Paesaggi umani”, la sezione del Festival Filmmaker che promuove le opere di giovani autori dando loro un sostegno alla produzione. Lo scopo è quello di raccontare Milano e la Lombardia.
“Milano che Ingoia” di Antonella Grieco, è il racconto di una conversazione che l’autrice ha intrattenuto con l’amico Piero, pittore, anarchico, protagonista della Milano anni ’70, quando la città era ancora fatta di osterie fumose, lotte operaie e ribellioni culturali. Chiusi nell’appartamento semibuio di Piero, tra una sigaretta e l’altra, il caffè alla cannella preparato con cura certosina, lo spettatore ascolta per circa mezzora aneddoti, squarci di vita, memorie e rivendicazioni di primogenitura artistica (“Sono stato io il primo, ancora prima di Pistoletto – dice a un certo punto Piero - a usare i vetri e gli specchi!”). La Grieco predilige gli sguardi sbiechi e il ritratto sporco, i suoni più che le immagini, la macchina fissa più che i virtuosismi stilistici. “Nulla mi importa di questa città malefica”, afferma nelle note di regia, “né l’inutile varietà di situazioni, lavorative o di svago che offre, né la sua storia o il suo futuro. Nulla mi importa di questa città che insegna solo a ingoiare i rospi delle cose che, a conti fatti, non tornano o non hanno senso.” Compresa dunque l’origine del titolo, resta da poco da dire su quest’opera un po’ faticosa che tramuta l’autobiografismo materico e corporeo di Piero (a tratti anche interessante per la frattura generazionale che evidenzia tra vecchi e giovani), in scelta estetica totalizzante e fin troppo esibita. Inquadrature fisse (e lunghissime), luce quasi assente, alcune frasi di Piero che si capiscono a malapena e la lista potrebbe continuare. Molti gli sguardi perplessi e annoiati in sala.
“Lezione di Anatomia” di Titta Raccagni, mediante la ripresa di una lezione di anatomia di una classe di studenti dell’Università della Terza Età, tenta (in soli 12 minuti) la difficile strada di una riflessione sull’importanza dello sguardo. In questo caso di quello che si posa su un nudo femminile. In larga misura, e senza eccessive forzature, “Lezione di Anatomia” riesce a mostrare qualcosa di poetico e visivamente efficace. Al centro dell’aula, su alcuni banchi coperti da una tovaglia rossa, mentre il professore spiega come osservare e tratteggiare sul foglio da disegno le varie parti del corpo, è adagiata una modella. Completamente nuda. Gli studenti guardano, ascoltano, probabilmente immaginano. Ma quella che immagina veramente è proprio la modella. O almeno lo spettatore è in dotto a credere che sia così. O sono gli alunni quelli che trasfigurano la materia? Tra visioni e fantasmagorie, sogni ed emozioni epidermiche, Titta Raccagni è capace di raccordare con mano sapiente immagini morbide e avvolgenti, liquide e pure. Al termine della lezione, con gli anziani studenti che confabulano a bassa voce, ci si può rivestire in silenzio. Gli sguardi sono pronti a posarsi su nuove cose, nuovi oggetti e nuovi corpi. “Piccole Donne Crescono” di Rita Casdia è invece un’allegoria di quattro stati della femminilità, rappresentati da altrettanti pupazzi di plastilina animanti con la tecnica della stop-motion. Originale e per nulla rutilante il lavoro sul sonoro e la costruzione di due livelli narrativi, gli stessi che contraddistinguono gli stati emozionali dei personaggi.
Ha chiuso la sezione di “Paesaggi Umani” il mediometraggio (in MiniDV e Super8) di Sabrina Bonaiti “Sesto: Le Radici”, che racconta il tentativo del cinquantenne Giorgio Soave di ritrovare nella Sesto San Giovanni dov’è nato, tracce del nonno paterno, scomparso durante la seconda guerra mondiale e ricordato da una lapide cittadina. Con una telecamera in mano Giorgio coglie l’occasione per rivisitare i luoghi di un lontano passato quasi irriconoscibile (le fabbriche, la casa paterna, la scuola e le piazze), e per rovistare nei propri ricordi. L’incontro con il giovane Dario, un ragazzo appassionato di cinema, consentirà a Giorgio di trasmettere un messaggio importante sul ruolo delle immagini e della memoria. Pur con qualche didattismo di maniera, il film è apprezzabile per il tono sincero e genuino della storia che raconta e impagina.

27/11/2006

Riccardo Lascialfari