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Intervista al regista Stefano Odoardi


Intervista al regista Stefano Odoardi
Il regista Stefano Odoardi
Lei è italiano, ma vive tra Italia ed Olanda, dove ha prodotto anche molte delle sue opere. Come mai questa scelta?
Stefano Odoardi: Una scelta che è frutto del caso. La casualità ha spesso una sua dimensione concreta ed esiste e ci fa esistere. Anni fa sono stato chiamato a frequentare la DasArts, un centro di ricerca per le arti che ha la sua sede ad Amsterdam. Ho quindi avuto modo di conoscere una realtà diversa che ha una profonda attenzione e un profondo interesse per l’urgenza delle arti in genere. In Italia non vedevo molte possibilità per cui ho deciso fortunatamente di fare dell’Olanda il mio luogo/laboratorio

Cosa offre in più o meno l'Olanda rispetto all'Italia per un filmaker?
Stefano Odoardi: Sono andato via dall’Italia perché non offriva molto e oggi le cose non sono molto cambiate. C’era e c’è soltanto molta indifferenza, come ho già detto l’Olanda ha un sistema di finanziamento e di comprensione dell’artista che in Italia non esiste e che non si vuole far esistere. Il sistema arte in Olanda è delegato a persone competenti che lavorano insieme agli artisti e per gli artisti. In Italia al contrario un politico all’improvviso diventa per esempio assessore alla cultura e mi chiedo che senso ha tutto questo? Mi chiedo dove è la competenza? In Italia ci sono troppe figure inutili a gestire l’arte e il risultato è una situazione di frustrazione generale tra gli artisti che sono per certi versi censurati. Non si fa altro che consolarsi con continue rievocazioni di artisti legati al passato dimenticandosi totalmente della contemporaneità e dei milioni di pianeti che ancora devono essere scoperti nello spazio infinito della conoscenza umana. Tuttavia c’è da parte mia la volontà e la necessità di rientrare in Italia e per questo motivo pochi mesi fa ho costituito la “Blue Door” con Alessio Rigido e Nicola Di Tullio una società di produzione che con spirito indipendente cercherà di co- produrre i miei prossimi lavori e allo stesso tempo si dedicherà al contemporaneo in tutte le sue possibilità espressive.

Ci può parlare, brevemente, dei suoi cortometraggi?
Stefano Odoardi: Nel rivederli credo che i miei cortometraggi sono come pianeti che fanno parte di un'unica costellazione. Cito per esempio “La terra che non è” che rappresenta il valore del silenzio, il film fu girato per metà in un monastero di monaci benedettini in Belgio, e ”la terra nel cielo” che è un film molto simile nei contenuti. “Nel Nostro primo Mondo” è un lavoro sul Tempo e “Esilio della Bellezza” ha forse le stesse caratteristiche insieme a una rarefazione che ne fa un lavoro sospeso. Il Silenzio, la Sospensione, il Tempo sono questi alcuni dei contenuti che ritrovo nei miei lavori precedenti e che certamente continuerò ancora ad esplorare nel mio viaggio nel lungometraggio.

Come è avvenuto il progetto per l'istallazione di "Esilio della Bellezza"?
Stefano Odoardi: “Esilio della Bellezza” oltre ad essere un cortometraggio è anche una installazione. Infatti mi esprimo anche attraverso l’arte visiva. Il lavoro è il risultato di un esplosione pianificata in una cava della montagna Maiella, in Abruzzo. Dopo l’esplosione ho scelto 28 massi che sono state successivamente trasportati dall’Italia fino all’ Olanda con due grandi tir.
L’esilio è una condizione molto attuale. Non mi riferisco all’esilio soltanto in un contesto politico e sociale ma anche e in particolar modo come sua dimensione inconscia e antropologica. Nel nostro presente la condizione di esilio è fondamentale per conservare i valori necessari che appartengono all’essere umano. E credo che l’insieme dei valori umani autentici possano essere riassunti nella ricerca della Bellezza. Il lento viaggio dei massi dall’Italia verso l’Olanda, esprime, in modo diretto e concreto il concetto e il bisogno di conservare la condizione di esilio. I massi, in esilio dal loro luogo originale verso un’altra terra, continueranno ad esistere e a conservarsi. Oggi si trovano nella fondazione C105 di Grathem, vicino Eindovhen, presentati come una installazione permanente all’aperto. Ho realizzato anche un documentario che racconta il lento viaggio/esilio dei massi che sarà presentato durante la prossima Biennale d’ Arte di Venezia.

Ci parla del lungometraggio "Una Ballata Bianca"?
Stefano Odoardi: "Una Ballata Bianca" è un film sobrio, integro in tutte le sue componenti. Il film non vuole mai compiacere lo spettatore e appare sullo schermo con coraggio e onestà emotiva. Le azioni accadono nel loro tempo naturale. E’ stato girato tutto a camera fissa con una attenzione estrema al movimento, alla luce e al suono. Ci terrei a sottolineare che nel ruolo di protagonisti appaiono per la prima volta sullo schermo una coppia di anziani ottantenni non professionisti, Nicola e Carmela Lanci, che si manifestano nella visione cinematografica in tutta la loro unicità. Sono realmente persone straordinarie. Persone che hanno fatto e che fanno della loro vita un evento unico e il mio cinema, che in fondo si manifesta attraverso eventi unici, non poteva che incontrarli. Nel girare e nel credere in questo film ho personalmente sviluppato una fede maggiore nel mio percorso artistico. E oggi è ancora più urgente per me ora fare soltanto le cose in cui credo realmente. E vorrei sottolineare anche la profonda collaborazione artistica e umana avuta con il compositore Carlo Crivelli che ha contribuito notevolmente alla buona riuscita del film.

Quale è stato lo spunto realizzativo per "Una Ballata Bianca"?
Mi interessava fare un film sulla indefinibile dimensione della vita e della morte. "Una Ballata Bianca" ha come spunto la morte ma in definitiva è un inno alla vita. Nel confrontarmi con questo tema e nel fare il film mi sono posto io stesso molti interrogativi che naturalmente non avranno mai risposta. Di conseguenza ho sviluppato una propensione verso il dubbio che, credo, sarà il motore dei miei prossimi lavori.

Lei ha definito questo film "Un film sulla flessibilità della tristezza". Ci può spiegare meglio?
Stefano Odoardi: Non è possibile spiegare o dare un significato alla frase “la flessibilità della tristezza”. E’ come la poesia che non può essere spiegata. Semplicemente esiste. Per questo motivo definisco il mio film con queste parole inspiegabili. Questa frase forse ne evoca altre e certamente definisce con precisione il film che è composto da immagini indefinibili che forse ne evocano altre.

Di cosa tratterrano i suoi prossimi lavori "Novembre" e "Mancanza"?
Mancanza” dovrei girarlo molto presto. Sarà un film sulla complessità dell’Amore, sulla sconfitta e sulla rinascita. Sarà un film destrutturato, senza una narrazione riconoscibile. Vorrei per certi versi che fosse un film irriconoscibile. La sceneggiatura è abolita nel percorso di questo lavoro, soltanto mie impressioni e il film si costruirà attraverso una lunga preparazione e successivamente nascerà nel momento stesso del girato. Sarà importante, da parte mia, stabilire un sentimento di profonda fiducia con le componenti artistiche, tecniche e produttive del film. Io credo che la fiducia è una delle componenti emotive che con maggior verità può farci scoprire continuamente l’Amore.
"Novembre" è un film da girare a più lungo termine. Avevo scritto lo scorso anno il trattamento con un finanziamento del fondo olandese per il cinema ma ora sto trasformando radicalmente il film, per cui è ancora presto per parlarne. Di sicuro posso dire che è un film che manifesta un profondo pessimismo verso il mondo e che si pone continue domande sul mondo in cui viviamo attraverso gli occhi di un ragazzo di 11 anni.

Come considera il panorama cinematografico italiano attuale?
Stefano Odoardi: Parlando in generale trovo un vuoto di contenuti che forse è il risultato di una mancanza di coraggio sia da parte degli autori che dei produttori, naturalmente ci sono delle eccezioni. Andando nel particolare ci sono sicuramente dei talenti inespressi. E questo è il risultato di una politica indifferente verso l’arte. In generale in Italia la politica è un cancro che sta dilagando e sta creando una cultura della televisione e una perdita d’identità. Devono essere gli stessi autori a reagire. Al contrario mi sembra che l’atteggiamento generale è troppo spesso quello della rinuncia, del vittimismo. C’è una sorta di assopimento generale. “Una Ballata Bianca” è stato girato senza nessun contributo pubblico, con un budget assolutamente minimo. Eppure siamo riusciti a farlo e oggi paradossalmente rappresenta con successo l’Italia nei festival. Bisogna cambiare atteggiamento e reagire e “fare” nonostante l’indifferenza da parte dello stato e nonostante la povertà dei finanziamenti a disposizione.

Come crede si possa migliorare la distribuzione delle pellicole italiane in sala?
Stefano Odoardi: Mi sto confrontando con la realtà distributiva italiana con il mio film ed è difficile, quasi impossibile distribuirlo normalmente. Allora mi sono chiesto spesso perché l’Italia è sempre di più un paese impossibile? Ho quindi deciso che farò uscire il film in Italia il prossimo autunno con un tour in cui proporrò personalmente il film a quei pochi cinema indipendenti che ancora esistono e sopravvivono. Accompagnerò io stesso il film e incontrerò il pubblico in giro per l’Italia. In Olanda, al contrario, il film uscirà nelle sale il 6 Settembre grazie alla casa di distribuzione filmuseum. Nel nostro paese bisogna far emergere delle competenze visionarie che aiutino un sistema distributivo indipendente perché credo sia giusto e democratico proporre al pubblico anche quelle pellicole italiane che partecipano a festival importanti in giro per il mondo e che vincono premi. Invece troppo spesso questi lavori vengono ignorati. Basterebbe una semplice legge da parte del governo in cui si stabilisce che almeno il 25% dei film distribuiti nelle sale siano italiani e tutto il sistema cinema ne trarrebbe degli enormi vantaggi a livello produttivo e distributivo. Ma anche questo governo è latitante verso i temi e le necessità fondamentali dell’arte. Personalmente mi sto attivando con la mia società Blue Door che è anche società di distribuzione e in futuro saprò dire se le porte del sistema saranno aperte o chiuse. Tuttavia, anche se resteranno chiuse, posso dire che il cinema e l’arte, hanno una propria esistenza autonoma e incontrollabile che va spesso oltre le logiche riduttive e limitanti della società e dei sistemi. Ed è con questo atteggiamento che io continuerò il mio lavoro.

09/05/2007

Simone Pinchiorri