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Note di regia del documentario "Anita"


Viaggio con Anita è il film più privato che Fellini ha scritto, quello in cui si mette più a nudo. Non è un caso, credo, che non l’abbia mai realizzato: troppo incandescente la materia, ha sentito il bisogno di liberarsene, anche se poi ha rimpianto di non aver avuto il coraggio di farlo. Per questo mi pare che tra i tanti progetti non realizzati, questo sia il più prezioso, perché ci permette di comprendere a fondo il cuore, l’immaginario e il pensiero di Fellini.
Ciò che spinge Guido a partire è sì una chiamata, una convocazione, che gli giunge dal passato, ma è anche un istinto di fuga, un bisogno di evasione da un presente di cui è insoddisfatto. A muoverlo è un vuoto, una tormentosa nostalgia per un’autenticità perduta, per una purezza che non conosce più.
In questo senso il viaggio di Guido è lo stesso viaggio di Fellini, un viaggio che si compie ad ogni nuova creazione.
Non a caso considero la figura chiave del documentario quella del funambolo: un uomo in equilibrio precario su di un filo teso tra un presente e un’origine. Origine che è anche punto di fuga, punto verso cui tende la sua fuga. Il funambolo è Guido, è Fellini stesso, il filo è il loro comune percorso esistenziale.
In questo viaggio verso l’origine Anita è guida, in quanto partecipa della sostanza stessa dell’origine. Ciò che Guido cerca, in lei è naturale e limpido come l’acqua. Per questa ragione Anita è il cuore del film, ciò attorno cui tutto ruoterà. Anita è la femminilità, la maternità, la vita, l’incarnazione di tutto ciò a cui l’arte di Fellini ha sempre teso.
La chiave di questo pensiero è Fellini stesso a darcela. Nell’unica intervista rilasciata al proposito, dichiara: “Un altro degli aspetti così invoglianti per me, per cui penso che quel film prima o poi lo farò, è il rapporto con la madre: in Viaggio con Anita mi sembra che questo rapporto sia visto con una certa disperata tenerezza, che sia esaminato in una prospettiva non sentimentale e abbastanza nuova e toccante”.
Rileggendo in quest’ottica il testo, e soprattutto andando sui posti, mi sono reso conto che la parola ‘madre’ per Fellini e per questa storia indica molto di più di una persona reale, ma è tutto ciò che è protezione, culla, ventre. Tutti i luoghi, anche semplicemente per i loro profili fisici, parlano di maternità; e in questo senso l’immagine chiave del film è proprio la Madonna del parto di Piero della Francesca.
È su questa idea che ho basato la costruzione del film. Per questo ho inteso fin da subito distinguere due livelli di lavoro: da una parte la storia del trattamento (la storia narrata, ma anche storia della sua redazione); dall’altra la traduzione del senso profondo della storia stessa.
STORIA DEL TRATTAMENTO
Su questo primo livello, che equivale al piano informativo del film, procederò innanzitutto introducendo e contestualizzando Viaggio con Anita; passerò poi a presentare e focalizzare il personaggio di Guido, spiegando la sua relazione con Fellini; infine proseguirò con il racconto del film, che si svolgerà parallelamente al viaggio, con frequenti rimandi al contesto del suo concepimento.
Gli strumenti principali di cui mi servirò per raccontare il contesto saranno le testimonianze raccolte sul campo relative al passaggio di Fellini e Pasolini nei luoghi, a cui andranno ad affiancarsi le informazioni veicolate dalla voce off; la voce mi permetterà oltretutto di introdurre e leggere frammenti del trattamento originale. Per rievocare la storia del viaggio di Guido e Anita farò leva in particolare su delle animazioni che io stesso elaborerò, avvalendomi della mia esperienza nel campo del disegno e dell’animazione d’autore.
È bene chiarire fin da subito una cosa. Con animazione mi riferisco a un impasto di tecniche diverse che per certi versi travalicano quanto normalmente si intende con questo nome. Ciò è particolarmente vero per il procedimento che utilizzerò in modo prevalente, ovvero quello della gomma bicromatata. Si tratta di un’antica tecnica di stampa fotografica, la cui applicazione al video è totalmente inedita, che permette di ottenere immagini d’impronta pittorica. Una tecnica rara, che richiede complessi processi di lavorazione, ma i cui risultati, al confine tra fotografia e disegno, hanno una potenza unica.
Le animazioni non saranno ricostruzioni finzionali del trattamento, quanto piuttosto delle evocazioni. Racconteranno le emozioni dei personaggi più che le loro azioni; saranno rivolte ai paesaggi interiori, più che a quelli esteriori. A livello estetico saranno improntate alla pittoricità; il bianco e nero prevarrà, così come dominerà una certa sensazione di fludità, di temporalità sospesa, come avviene nei sogni o nei ricordi.
Ad arricchire ulteriormente il piano visivo introdurrò infine alcuni frammenti di film di famiglia tratti dall’archivio di Home Movies, risalenti all’epoca dello svolgimento della storia, di cui mi servirò per evocare le atmosfere e i luoghi del film non realizzato. Questi spezzoni saranno utili anche per far “intravedere” i personaggi in alcuni momenti del viaggio, nonché per attutire lo scarto visivo tra il materiale di ripresa e le animazioni.
TRADUZIONE DEL SENSO PROFONDO
A questo secondo livello attribuisco il ruolo d’approfondimento tematico di tutti quegli elementi che costituiscono il senso di Viaggio con Anita.
Per tradurre l’anima di questa storia farò leva sugli stessi strumenti che mi sono funzionali allo sviluppo del racconto, aprendoli però ad un utilizzo più evocativo. Da una parte selezionerò quindi testimonianze e situazioni che in qualche modo rimandano al tema dell’origine e della maternità. Ad esempio, nel corso dei sopralluoghi, nel fiume di ricordi evocati da Navina Trucca, ho selezionato l’episodio del figlio; così come a Fano, nelle mie ricerche, ho seguito la pista delle madri in attesa sul molo.
D’altra parte sfrutterò il potenziale espressivo delle animazioni, spingendole verso immagini oniriche non direttamente collegabili al contenuto del trattamento, ma in qualche modo evocative del tema profondo. Per questo un po’ ovunque seminerò immagini marine, visioni acquatiche e femminili, figure che rimandano tutte a un’idea di maternità e di vita.
Quello che mi propongo in conclusione di fare è un documentario che non si limiti ad essere il semplice racconto di un film che non è stato fatto, ma sappia scendere al di sotto della superficie delle informazioni e far passare tutta la potenza figurativa che si annida in Viaggio con Anita. Per questo la ricerca formale sulle immagini sarà importante quanto quella sui contenuti, nel realizzare un’opera in grado di coniugare procedimento artistico e presa documentaria.

Luca Magi