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Note di regia del film "Henry"


Note di regia del film
La volontà di realizzare un film dal libro di Giovanni Mastrangelo, pubblicato da Einaudi nel 2006, nasce dalle suggestioni di un universo interstiziale e oscuro, affascinante e labirintico insieme, che ho percepito sin dalla prima lettura. La sfida che comportava l’adattamento era trasformare in una nitida cifra cinematografica il doppio registro del romanzo, fatto di dilatate esplorazioni interiori e brusche impennate di azione.
L’ambientazione del film è nella suburra di questa Roma da Basso Impero, dove i nuovi derelitti muovono i loro passi sulle strade costruite dai Cesari. Una Roma di non romani, in cui tutti sono immigrati o si sentono pesci fuor d’acqua nella loro stessa città. Cuore simbolico del film il Tevere, che attraversa, allieta e insozza la città – proprio come la droga.
Gli eventi sono rinchiusi nella gabbia del presente. Perché l’appiattimento della dimensione temporale sul qui e ora è in assoluto la coordinata principe di chi vive schiavo di una droga – che essa sia l’eroina, il consumismo o l’abuso di informazione. I giovani protagonisti del film, Nina e Gianni, nel momento in cui si trovano costretti a fare i conti con la reponsabilità del proprio futuro cercheranno disperatamente di risalire la corrente e di forzare le lancette, con la stessa ingenuità di chi è abituato a premere il tasto “BACK” sulla tastiera. Ma la vita vera non permette al tempo di andare indietro.
Henry è un film incosciente e piratesco, dal punto di vista artistico come da quello produttivo, in barba alle regole di chi giudica il cinema con il telecomando in mano. Il plot di genere è solo lo spioncino, oltre la porta c’è la vera questione: capire dove stiamo andando e saperlo raccontare. Henry vuole scassinare la serratura, uscire dalla stanzetta nella quale, a parte rare e felici fughe, si è fatto rinchiudere da tempo il cinema italiano.

Alessandro Piva