Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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"Immaturi": un gruppo di quarantenni alle prese con
l’incubo di dover rifare l’esame di maturità.


"Immaturi" è un film davvero divertente, piacevole e pregevole per il gusto con cui è scritto e quindi per l’autenticità di intenti che non richiama, almeno direttamente, a nessun tipo di operazione. Per divertirsi e riflettere con intelligenza e senza “pesantezze”; però quindi anche senza possibili, magari sorprendentemente benevoli, effetti collaterali.


"Immaturi "è il secondo lungometraggio di Paolo Genovese dopo la più o meno momentanea separazione da Luca Miniero; arriva nelle sale poco più di un mese dopo l’uscita di “La Banda dei Babbi Natale” che, più che un film del regista, si può definire l’ennesima operazione, anche piuttosto insapore, di Aldo, Giovanni e Giacomo. E’ però fortunatamente indubbio che il film che sarà nei cinema da venerdì si distanzia nettamente dalle nostrane operazioni natalizie che richiamano il pubblico al cinema più che altro per noia (questa affermazione relativa all’insoddisfazione, magari semplicemente ancora inconscia, nello spettatore medio, purtroppo, non è una convinzione ma semplicemente quello che ci piace augurarci). Il fatto che "Immaturi" sia un film che rischia su qualcosa di nuovo nel panorama della commedia è comunque sicuramente il suo primo merito.

Il nuovo lungometraggio di Paolo Genovese pare dichiarare innanzitutto la sua autenticità. Per quanto rimanga sempre sulla linea della commedia, il film non prova nemmeno ad assomigliare a certi prodotti sbracati o anche solo troppo “sopra le righe”; "Immaturi" è infatti un’opera corale i cui personaggi sopravvivono autonomamente prima di tutto perché non sono scritti sugli attori che li interpreteranno (che in questo caso non sono neanche comici). Appunto anche la scelta del cast è interessante dal momento che mette insieme gli interpreti in modo originale ancora prima che azzeccato.

Certo il film non osa mai troppo, ma è comunque scritto con gusto, e ricorda addirittura "Compagni di Scuola" di Carlo Verdone nonché una certa parte del cinema del notissimo attore, sceneggiatore e regista. Una battuta messa in bocca a Ricky Memphis infatti, “Veramente io aspettavo i lenti”, pare essere rubata a quella pronunciata da Sergio Rubini in “Al lupo al lupo”, il lungometraggio che Verdone ha diretto nel 1992 e che, aldilà di quello che ne abbia scritto Mereghetti, è una operazione pura, nostalgica e sincera come poche, sicuramente uno dei film più sentiti e belli di Carlo Verdone. Questo dato di fatto pare rendere evidente quanto "Immaturi" sia vero e sincero anziché artificioso e ricercato.

Per tornare a Ricky Memphis va detto che i suoi duetti con Maurizio Mattioli sono tutti divertentissimi, dal punto di vista della commedia rimangono la cosa migliore del film che è comunque spesso realmente divertente, prima di tutto perché mai volgare ma anzi esilarante in modo “sottile” e quindi intelligente. "Immaturi" però non è tutti qui; a tratti infatti riesce ad essere intrigante da un punto di vista drammaturgico. Certo la malinconia ed il disagio esistenziale dei personaggi potevano essere approfonditi maggiormente e meglio, ma alcune scene sono rilevanti dal punto di vista intimistico, come il dialogo tra Piero e “Crudelia” all’ospedale. Così può riuscire sin troppo facile, a chi ha anche solo più di trent’anni, fermarsi a riflettere riguardo cosa in più si aspettava dalla vita, cosa gli è sfuggito di mano senza che se ne accorgesse, cosa è riuscito veramente a vivere al momento giusto ed irrepetibile della sua vita e cosa ancora non è del tutto perduto della giovinezza.

"Immaturi" non è un’opera indimenticabile, ma è sicuramente piacevole e pregevole per la sua capacità di divertire con gusto e per il suo vantaggio di spingere anche alla riflessione senza risultare pesante.

"Scrivendo e dirigendo questo film ho cercato innanzitutto di non puntare sulla risata e sulla commozione facile" ha dichiarato Paolo Genovese durante la conferenza stampa. "Con Immaturi ho voluto raccontare non tanto una generazione ma primariamente sei personaggi, e quindi mi sono concentrato sulle loro singole storie che hanno tutte, nel film, un registro diverso l’una dall’altra. Ho cercato anche di rimanere particolarmente aderente alla realtà dal momento che la verosimiglianza mi interessa molto, e la realtà che mi interessava raccontare è soprattutto quella della generazione dei 35-45 enni che si può definire orfana di ideali, ma che non certo per questo ha perso il gusto di esistere".

19/01/2011, 17:27

Giovanni Galletta