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Libro/film: “Henry”, eroina e malavita tra Mastrangelo e Piva


In sala dal 2 marzo il film presentato al Torino Film Festival numero 28 e premiato dal pubblico, ispirato dall'omonimo romanzo


Libro/film: “Henry”, eroina e malavita tra Mastrangelo e Piva
"Liberamente ispirato": è curioso leggere questa dicitura nei titoli di "Henry", film di Alessandro Piva che trae origine dal romanzo omonimo di Giovanni Mastrangelo, edito da Einaudi nel 2006. Un film molto più fedele alle pagine che lo ispirano rispetto a tanti altri che non si premurano di sottolineare le loro "libertà".

Detto questo, "Henry" dalla pagina allo schermo mantiene quasi inalterata l'atmosfera di squallore e di malessere che provoca l'ambientazione nel mondo dell'eroina (henry è uno dei nomi che le viene dato nel giro), ma anche il plot narrativo – un po' semplificato in alcuni passaggi, ma era inevitabile – rimane perlopiù inalterato.
Di buona resa la scelta di affidare il commento di alcuni cruciali passaggi della storia a una sorta di confessione alla telecamera dei vari personaggi: nel libro (molto più corale, e per questo complicato da trasporre) è presente un meccanismo simile, con i vari soggetti che a turno parlano in prima persona e "aggiornano" il lettore sugli eventi, solo più esasperato e a tratti ridondante.

I personaggi sono decisamente simili a quelli raccontati da Mastrangelo, effetto agevolato da un cast di nomi ben selezionati: da Michele Riondino a Carolina Crescentini (i fidanzati Gianni e Nina), ai poliziotti Claudio Gioè e Paolo Sassanelli, passando per il tossico Rocco di Pietro De Silva; difficilmente si sarebbe potuto avere un ensemble più adatto.
L'unica che ci rimette (perdendo il fascino che viene descritto su carta diventando invece solo una snob senza molte qualità) è Marta, la moglie del commissario Silvestri interpretata da Susy Laude (ma la colpa sembra più del copione, che taglia via l'incontro-scontro tra due coniugi così diversi eppure così uniti). Diverte – pur nella sua crudeltà – il Martino di Dino Abbrescia, malvestito e rozzo come quello del romanzo.

Piva sceglie di smussare alcuni aspetti (molto pochi, a dire il vero), rinunciando al fascino dell'eroina sul commissario o riducendo i discorsi sulla dipendenza e le sue conseguenze in un film che rimane comunque molto "nero", degno erede del romanzo da cui nasce.
Il mondo di "Henry" è inconfondibile in una trasposizione di buon livello.

02/03/2012, 14:00

Carlo Griseri