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BFM34 - Giro del mondo in 4 documentari


BFM34 - Giro del mondo in 4 documentari
Yaar
Molto concentrato sul cinema europeo, il 34° Bergamo Film Meeting propone anche quattro pellicole ambientate tra Africa e Asia. Quattro film che affrontano (più o meno apertamente) aspetti critici di Burkina Faso, Turchia, Iran e Bangladesh, con narrazioni molto diverse fra loro.

L'unico titolo africano, il documentario Yaar del bulgaro (francese d'adozione) Simon Gillard, è un lavoro molto estetico, dove la cura per l'immagine nobilita un ambiente definito - nell'immaginario comune - degradato e sottosviluppato. I cercatori d'oro burkinabè vivono con le loro famiglie in grandi accampamenti di fortuna, ma Gillard si concentra sui particolari, sul buio e sui colori. Corpi che sembrano d'oro, luminosi dove non c'è luce, danzanti di duro lavoro.
Senza una parola, Yaar consegna alla citazione iniziale ("considera il mondo come un mistero assoluto e quello che la gente fa come una follia senza fine") la chiave di lettura del regista: non si può giudicare dal proprio punto di vista inevitabilmente parziale un mondo le cui dinamiche sono ineffabili.

Su un versante diametralmente opposto, Télécommande lascia spazio alle parole in un vortice liberatorio di commenti a ruota libera sulle elezioni presidenziali della Repubblica dell'Iran nel 2013.
Accolta nei salotti di molti iraniani, la regista (che resta anonima proprio per preservare la sua operazione 'senza filtri') inquadra le tv mentre - fuori campo - registra i commenti alle immagini, e il risultato di questo anonimato delle voci è illuminante.
Alternate a momenti che tracciano il rapporto dell'Iran con la tv e la comunicazione/ rappresentazione sullo schermo (i due canali superstiti alla rivoluzione - di cui uno dedicato alla guerra Iran-Iraq, la BBC Persian - spesso oscurata, i canali ufficiali - derisi dai commentatori) sono proprio le parole a restare impresse, l'amarezza per una situazione dove ci si sente obbligati a recitare una parte in un gioco già predeterminato, dove i ruoli sono chiari e le scappatoie inesistenti.

In Moriom, breve frammento di vita catturato in Bangladesh da Francesca Scalisi e Mark Olexa la denuncia è più sottesa, nasce spontanea dall'evidenza.
Ingabbiata in un ambiente violento che non ha comprensione per le vittime, la giovane Moriom reagisce all'abuso nascondendosi nella follia, o meglio liberandosi grazie alla follia. I genitori non sono in grado di affrontare la situazione, non ritengono neanche scontato denunciare i suoi aggressori, e la incatenano per tenerne sotto controllo i gesti ormai senza inibizioni. "Sono un angelo; sono un poliziotto. Li punirò tutti; li metterò in galera" dice Moriom, e noi sappiamo che non andrà così, ma dovrebbe.

L'ultimo film di questa serie è di finzione e partecipa al concorso lungometraggi. Si tratta di Toz bezi, della turca Ahu Öztürk, e racconta di diverse 'condizioni di debolezza': due donne (sesso debole per definizione), una abbandonata dal marito (anche se era disoccupato e fannullone rimanere sola è una tragedia), entrambe curde (minoranza discriminata) ed entrambe a fare i conti quotidianamente con l'ambiente benestante della città (carico di atteggiamenti di superiorità più o meno cordiali), facendo le donne delle pulizie (lavoro precario e senza assicurazione). Uno spaccato molto realistico, che fa parlare la storia nella sua estrema semplicità.

09/03/2016, 08:27

Sara Galignano