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Note di sceneggiatura de "I Bastardi di Pizzofalcone"


Note di sceneggiatura de
Il momento più forte, quello che rimarrà per sempre stampato nella mia mente e nell’anima, è stato quando ho ricevuto la telefonata del mio amico Andrea Ozza, editor della Clemart e compagno speciale di viaggio, che mi ha detto: devi venire a vedere una cosa. E ci sono andato. Non si trattava dell’espressione profonda e accorata di uno degli interpreti, che sono stati magicamente bravi; né di una o più scene, attraverso le quali le nostre ipotesi diventavano reali. Si trattava di un pezzo di pietra. Mi sono inerpicato con lo scooter fino alla fine di via Egiziaca, sulla sommità di Pizzofalcone, dove si trova l’antico Archivio di Stato. Era un luogo che conoscevo, naturalmente: un meraviglioso, vecchissimo palazzo in tristi condizioni di manutenzione, situato in una posizione incredibile dalla quale Napoli si propone in un fantastico panorama di mezza costa, col castello e il mare e il Vesuvio e tutta la città così vicini da poterli toccare, sporgendosi dall’enorme terrazzo, con la punta delle dita. Era un tardo pomeriggio. La troupe doveva ancora arrivare, sarebbero state girate alcune scene notturne. L’assenza di camere e attrezzature rendeva la vista assolutamente normale. Se non fosse stato per la pietra. La pietra. Attaccata di fianco al portone, in marmo, rettangolare, artificialmente invecchiata così bene che nessuno avrebbe potuto dubitare della sua autenticità. Incise nel marmo, alcune semplici, incisive parole. Polizia di Stato. Commissariato di Pizzofalcone. Avevo conosciuto regista, produttori, attori. Li avevo visti in azione, ne avevo apprezzato l’autenticità e mi ero emozionato nel vedere diventare vive le parole che Silvia, Francesca e io avevamo scritto. Ma quella pietra era un’altra cosa. Quella pietra era vera.

Maurizio de Giovanni

21/12/2016, 10:19