ROBERT GUEDIGUIAN - "Il cinema, l'Armenia, la Francia"
È uno dei più noti e acclamati registi francesi degli ultimi trent'anni, ma i suoi film in Italia arrivano di rado. È stato protagonista di numerose retrospettive e omaggi (l'ultima a maggio 2017, integrale, ad opera del
Museo Nazionale del Cinema di Torino), di pubblicazioni e presenze in giuria ai festival più prestigiosi, eppure meno della metà dei suoi 19 film è arrivata nelle nostre sale (o nelle nostre videoteche).
Robert Guediguian, regista legato ai temi operai della sua Marsiglia (e, negli ultimi anni, sempre più anche alle sue radici armene), circondato quasi sempre da un cast a lui familiare (la moglie, Ariane Ascaride, gli amici di una vita), si è confermato nell'intervista che ci ha concesso uomo attento alla realtà che lo circonda, affabile e disponibile, consapevole del suo lavoro e di ciò che vuole raccontare.
A Torino accompagna la proiezione del suo ultimo film, inedito in Italia, "Une histoire de fou".
È un film che vuole raccontare un secolo di storia armena, perché il 2015 è stato l'anno del centenario del genocidio, e purtroppo - come dicono gli armeni - è stato anche il centenario della "non conoscenza" di quei fatti. Quindi il film è più su come ha fatto quella memoria a sopravvivere, su come si è trasmessa di generazione in generazione.
Volevo far sapere al mondo cosa fosse l'
affaire armeno, cosa volesse dire essere armeni.
Come si spiega il fatto che molti suoi film non arrivino in Italia, come ad esempio questo e il precedente, "Au fil d'Ariane"?
Non lo so, sinceramente, è un problema della distribuzione italiana. Io faccio i miei film, li produco, li giro, so che le uscite qui sono difficili. In generale i miei lavori escono, nel mondo, ma ci sono condizioni particolari perché ciò accade.
Conosco bene il mio distributore italiano, Andrea Occhipinti di Lucky Red, mi fido di ciò che mi dice e lui mi parla del problema di uscire ogni anno con film di un certo tipo. Dopo aver visto "
Voyage en Armenie" era molto commosso, ad esempio, ma mi disse di essere impossibilitato a portarlo in Italia senza rimetterci molto soldi...
"Une histoire de fou" è del 2015, lei sta già finendo di lavorare sul film successivo.
Sì, si intitola "
La Villa" e uscirà in Francia a fine novembre. In questi giorni sono impegnato nelle ultime fasi della post produzione. Il film è una metafora sui cambiamenti del mondo attraverso tre generazioni, su come è cambiata la solidarietà con l'arrivo dei rifugiati. Una situazione che voi in Italia conoscete perfettamente.
È un po' una mia versione personale de “
Il Giardino dei ciliegi”.
In quasi tutti i suoi film lei lavora sempre con lo stesso cast di attori amici, tra cui sua moglie, Ariane Ascaride.
Abbiamo cominciato così, siamo della stessa generazione, all'inizio non avevamo molti soldi per girare i film e quindi ci si doveva arrangiare. I film sono stati fatti, uno dopo l'altro, hanno avuto successo e ottenuto riscontri importanti, e così ho continuato, raccontando sempre la nostra generazione e quindi affidandomi sempre agli stessi volti. Anche nel prossimo sarà così, ci saranno
Ariane, Jean-Pierre Darroussin e Gerard Meylan.
Ho fatto anche un paio di film senza di loro, ma non è stata un'esperienza convincente: sento di aver bisogno di loro, dei loro volti, per dare vita ai miei personaggi e alle mie storie.
I suoi film raccontano sempre la realtà quotidiana, ha mai avuto la tentazione di fare dei documentari?
Ne produco molti, la mia casa di produzione ha molta attenzione verso questo genere. Non ho cominciato questo mestiere per fare documentari, ma penso che tutti i miei film abbiano dei tratti in comune con quel genere di narrazione, sono di finzione ma legati alla realtà.
Ho scelto la formula della finzione per molte ragioni, in primis perché amo molto il teatro e questo mi ha avvicinato a questo mondo.
La politica odierna in Francia la ispira? Lei anni fa ha fatto un film su Mitterrand...
No, non scriverò niente su questo. O meglio, ne scrivo in continuazione, sui giornali ad esempio lo faccio in continuazione!
Ma non mi ispira raccontare l'oggi, anche su Mitterrand ho scritto anni dopo la sua morte. Non mi piace lavorare sulla cronaca politica quotidiana, è compito del giornalismo. Non mi piace neanche quando lo fanno altri, contesto proprio l'idea.
Stamattina a Torino è tornato a visitare il Museo del Cinema.
L'ho visitato più volte, è vero. Non abbiamo più lo sguardo che si aveva all'inizio della storia del cinema: guardando i prodotti del pre-cinema, le Lanterne magiche ad esempio, si nota come ci fosse uno sguardo infantile sul mondo che oggi abbiamo perduto. Quell'ingenuità, quel candore non esistono più.
03/05/2017, 09:36
Carlo Griseri