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Note di regia di "Cuori Puri"


Note di regia di
Cuori Puri è la storia di Stefano e Agnese, due ragazzi molto diversi tra loro che si innamorano e che per non perdersi dovranno rinunciare ai loro punti di riferimento e alle loro certezze. Per scrivere il film ho condotto una ricerca sul campo, attraversando la periferia dei centri accoglienza e dei campi rom per poi entrare nelle chiese e documentarmi sulla realtà contemporanea delle comunità cristiane. La scrittura della sceneggiatura è ben presto diventata “esperienza” e le riunioni in ufficio si sono trasformate in viaggi nelle vite di persone che sono poi diventate i nostri protagonisti. Per comprenderli davvero, per poterne scrivere, ho scelto di lasciarmi contaminare, di provare a vivere la loro vita, senza giudizio. Un metodo empirico, di “improvvisazione”, che abbiamo applicato anche nelle riprese, coinvolgendo principalmente gli attori e l’operatore. Abbiamo rinunciato alla luce artificiale e alle inquadrature, che avrebbero costretto gli attori a rispettare degli spazi determinati. La camera ha lavorato improvvisando, cercando di “sentire” più che di seguire un percorso prestabilito. I due protagonisti, su tutti, sono stati lasciati liberi di cambiare le battute, di muoversi come volevano, di portare la loro vita e le loro reazioni spontanee in scena. Paradossalmente, l’incertezza di quello che sarebbe successo ha contribuito a mantenere il set sempre attento e vitale: tutti dovevano sempre reagire, contrattaccare, come nella vita. Il bisogno, per non tradire il percorso di ricerca sul campo, era di tendere verso un atto quasi documentaristico. Solo in montaggio il racconto si è definito come un percorso sulla paura dell’altro diverso da sé e allo stesso tempo, contraddittoriamente, sul desiderio dell’altro e la necessità di evadere dalla propria identità. Lo sfondo sociale della periferia, ambiente permeato dalle paure e dai sentimenti dei due protagonisti, ha facilitato l’indagine e il confronto con la criticità della condizione umana. Stefano vive lavorando in un parcheggio di macchine adiacente a un campo rom. In periferia, accostare le fasce economicamente più deboli ai centri accoglienza e ai campi rom crea tensioni sempre più difficili da arginare. I rom rappresentano, agli occhi del protagonista, tutto quello che lui ha paura di diventare. Come in una caccia alle streghe dove i rom giocano la parte dei demoni, Stefano proietta le sue paure 7 – quella di essere escluso dalla società, la paura di perdere il lavoro, di non avere soldi, di non avere una casa – su i suoi vicini “zingari”, innescando un meccanismo esplosivo di repulsione. Il mondo di Agnese, dall’altra parte, è immerso nella fede cristiana. Il cinema spesso racconta la Chiesa giudicando, mentre il mio obiettivo era provare a viverla. Ho avuto la fortuna di lasciarmi andare irrazionalmente, di credere, e la fascinazione per questo mondo ha prodotto una sfida: raccontare una Chiesa aperta, contemporanea e illuminista, attraverso la figura del prete filosofo, legato più alla saggezza di Gesù che ai dogmi del clero. Al centro del film c’è il tema della verginità, vista come la perdita di un’illusione infantile di purezza e di perfezione: la verginità di un corpo, di un territorio che vogliono rimanere puri, senza mischiarsi con l’esterno. Il parcheggio dove lavora Stefano e il corpo di Agnese, simbolicamente, sono la stessa cosa, un luogo puro che rischia di essere contaminato da qualcosa di diverso, di vero: l’altro. I cuori puri del film, Stefano e Agnese, sono cuori fermi, incapaci di tendere al mistero e al rischio dell’alterità. Sono cuori perfetti, rinchiusi in una campana di vetro. La necessità di rompere questa prigione, di sporcarsi, di evadere da sé li porta a cercare un punto d’incontro. Amarsi, confrontarsi significa riconoscersi impuri.

Roberto De Paolis