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ROBERTO DE PAOLIS - "Un film nato da un lungo percorso"


Il regista di "Cuori Puri" dopo l'esordio al festival di Cannes e l'uscita in sala accompagna il film in un tour nelle sale italiane


ROBERTO DE PAOLIS -
Opera prima, presentata a Cannes nella sezione Quinzaine Des Réalisateurs e dal giorno successivo in sala in Italia, dove ha già convinto oltre 11.000 spettatori in pochi giorni: "Cuori Puri" di Roberto De Paolis è uno dei film italiani più interessanti e rilevanti della stagione, e il suo regista lo sta accompagnando in un tour per la sale. Lo abbiamo incontrato e intervistato a Torino.

Come hai scelto la storia con cui volevi esordire?

In realtà tutto è andato divenendo... l'idea iniziale è nata da un fatto di cronaca, riguardava una ragazza che aveva inventato di essere stata violentata. Era avvenuto in periferia, lei era cattolica neocatecumenale (sono una comunità abbastanza rigida, soprattutto sul tema della verginità...): da qui è nato il progetto, che purtroppo o per fortuna mi ha spinto in luoghi che non conoscevo in nessun modo.
Non conoscevo quelle comunità, e nemmeno la periferia: è iniziato un lavoro di ricerca molto intenso. Il processo è stato empirico, non avevamo certezze ed eravamo pronti a mettere sempre in discussione le idee di partenza.
Il film si è molto arricchito nel percorso, quindi, grazie al tempo e agli incontri fatti in periferia, al tema del lavoro, degli sfratti, del rapporto con gli immigrati... Non abbiamo voluto solo studiare da fuori, stile "safari", ma è stata un'esperienza vera e propria.
Io ho speso molto tempo in una comunità religiosa, poi anche gli attori (Simone Liberati e Selene Caramazza) hanno fatto lo stesso, anche più di ciò che avevamo chiesto loro. Lui è andato a vivere in periferia per un po' di tempo, lei ha frequentato comunità religiose simili...
Fino all'ultimo tutto è cambiato, è stato bello ma anche molto faticoso.

Questo lavoro si nota vedendo il film, c'è la volontà di capire le varie posizioni, non ci sono "nemici" o "cattivi".

Dipende anche dal fatto che il punto di vista del film non è il mio, del regista, ma quello di Agnese, la protagonista. Lei percepisce la sua comunità come accogliente, sono persone con cui è cresciuta e i valori sono valori in cui crede.
Così i rom sono raccontati come li vive il protagonista maschile, lui li vede come provocatori e vendicativi...

I tuoi attori sono fondamentali per la riuscita del film. Come li hai scelti?

Intanto sono stati i più bravi ai provini, come punto di partenza è banale ma fondamentale!
Si sono dimostrati entrambi molto bravi e disponibili a fare quel lavoro di ricerca di cui parlavo prima, per me era importante che lo facessero, si sono spesi molto.
Selene è stata cresciuta in Sicilia come cattolica ma aveva perso i contatti con la religione, ha ripreso a frequentare la chiesa per il personaggio e si è molto identificata con la parte. Anche Simone ha fatto un forte lavoro in tal senso.
Questo ha fatto sì che entrambi gli attori potessero prendere l'iniziativa sui loro personaggi, non dovevano semplicemente replicare le nostre idee ma potevano dare una forma autonoma al ruolo, agendo anche meglio e più coerentemente rispetto a ciò che avevamo pensato scrivendo il copione.

Lo stile di ripresa, camera a mano mobile e molto vicina ai personaggi, è perfetto per il film: anche questo è cambiato in corso di lavorazione?

Molto. Simone Liberati ha improvvisato tanto, si muoveva tantissimo e spesso cambiava lo spazio della scena, ha fatto venire fuori un po' inattesa l'aggressività del personaggio. Se avessimo avuto una camera fissa, spesso sarebbe uscito dalla scena!
Lo stile adottato è uno stile che amo, ma era soprattutto perfetto in questo caso: l'operatore non sapeva mai bene cosa sarebbe successo, non poteva che avere la camera a mano, avvicinandosi o allontanandosi a seconda della sua sensibilità (quando Agnese piange magari ritraendosi, sui baci tra i ragazzi avvicinandosi appena...). Doveva essere vivo, non statico.

Una piccola storia di periferia italiana, che si sta dimostrando però capace a parlare a tutti.

Il pubblico ha accolto bene il film, anche se ovviamente i pareri sono diversi. Specie sul finale, per alcuni è troppo positivo, per altri è confuso.
Non è un film ideologico, è aperto e credo che siamo riusciti a evitare gli stereotipi (avremmo potuto fare rom più buoni, preti più negativi...), e adottando il punto di vista dei ragazzi era inevitabilmente tutto un po' più confuso.
Se c'è un pregio del film secondo me è la sua semplicità, ci sono sentimenti che sono archetipi e che possono essere compresi da tutti, anche da un pubblico non abituato ad andare spesso al cinema.

01/06/2017, 10:36

Carlo Griseri