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Note di regia di "In Trincea - Piccole Storie della Grande Guerra"


Note di regia di
Inizialmente ero scettico nei confronti della figura del cappellano militare: non riuscivo bene a delineare questi uomini, soprattutto all'interno del turbolento periodo storico della Grande Guerra. Ho pensato che questo scetticismo, che poi si è trasformato in curiosità e successivamente in profondo affetto, potesse essere lo stesso del protagonista (Alessandro Del Gobbo), il giovane ragazzo che si imbatte quasi per caso nella figura di questi personaggi testimoni della prima guerra mondiale.
Ed è proprio il loro ruolo di testimoni che ho voluto poi enfatizzare nelle ricostruzioni storiche: innanzitutto usando le vere lettere e relazioni ai superiori scritte dai cappellani stessi. In questi brani ho ritrovato piccole storie, aneddoti di ordinaria e straordinaria quotidianità scritti con una lievità, un distaccamento e, a volte, una passione viscerale che solo un vero testimone oculare può provare. Il ruolo di testimone, soprattutto considerando il mandato di questi personaggi, è allo stesso tempo comodo e scomodo: i sacerdoti infatti, portavoce della pace, si trovano immersi in un contesto di odio, di morte, di guerra, senza aver modo di fermarla e addirittura allo stesso tempo calati nel sistema che la perpetra.
Questa follia che solo una guerra può rendere ordinaria è ciò che mi ha fatto innamorare di questi preti “da campo”. Così umani (nel bene e nel male) e allo stesso così sensibili da tradurre il loro pensiero in pochi ed essenziali tratti, personaggi dotati di un romanticismo infinito.
Ecco perché Paolo non può che restare ossessionato da queste storie che scopre: chi parla usa il suo stesso linguaggio, prova le stesse emozioni, si sente isolato, a volte spinto ad agire, altre impossibilitato dal farlo. La sua commozione, solo suggerita, al Sacrario di Redipuglia, è al tempo stesso la mia e quella dello spettatore di fronte al mastodontico monumento-cimitero.
Poco più in là il doppio finale, particolarmente cupo, un vero e proprio grido d'allarme solo sussurrato: le guerre non terminano con gli armistizi.
Ho scelto di far interpretare tutti i cappellani militari presenti nel film allo stesso attore, Enrico Bergamasco: in questo modo, nonostante si parli di vicende specifiche e legate a nomi noti come quelli di Giovanni Minzoni, padre Semeria, padre Gemelli, don Angelo Roncalli (futuro papa Giovanni XXIII), don Peppino Tedeschi che apre e chiude il film, solo per citarne alcuni, lo spettatore si creerà man mano un'opinione del cappellano militare, figura sfaccettata quanto i numerosi ruoli interpretati dall'unico volto scelto a rappresentarli.
Personalmente mi sento molto vicino a don Minzoni, alla sua commozione di fronte all'impossibilità di bloccare la fucilazione di un disertore e di restare, appunto, testimone distrutto nell'animo. Proprio come lo spettatore cinematografico, proprio come tutti gli uomini che, al suo posto, avrebbero fatto la stessa cosa. Quante volte si vorrebbero “cambiare le cose” e si resta, invece, dolorosamente impietriti?

Omar Pesenti