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EST FILM FESTIVAL XI - Consegnato Gianni Amelio l'Arco di Platino


EST FILM FESTIVAL XI - Consegnato Gianni Amelio l'Arco di Platino
Rodolfo Laganà e Gianni Amelio
Piazzale Frigo gremito a Montefiascone per assistere alla consegna dell'Arco di Platino Premio Italiana Assicurazioni 2017 a Gianni Amelio all'undicesima edizione dell'Est Film Festival

A consegnare il premio, Roberto Laganà, Direttore Generale di Italiana Assicurazioni, main sponsor del festival da molti anni: "Sono molto felice di essere questa sera su questo palco. Il cinema, come il mondo delle assicurazioni, vende qualcosa di intangibile e che vale molto di più di quello che si può vedere. Noi siamo qui come sponsor in una località molto lontana dalla nostra sede principale di Milano perché crediamo che così si possa trasferire anche alle persone di questo luogo il senso di protezione che vogliamo dare con la nostra presenza".

Prima di cominciare l'incontro, Gianni Amelio esprime la sua gioia nel tornare dopo cinque anni a Montefiascone:"Un paese che ringiovanisce come umori e accoglienza, e questo è sempre un dato positivo. Vi ringrazio per l'Arco di Platino, ma il vero premio è vedere questa splendida piazza di nuovo piena".

Il regista comincia poi a raccontare la sua carriera partendo dagli inizi: "Ho avuto molta fortuna. Chi ha fa il nostro mestiere è un precario di lusso. Sono arrivato a Roma nel '65 e tre giorni dopo già lavoravo perché qualcosa di cinema la sapevo. Lessi un giornale con un intervista di Vittorio De Seta: pochi minuti dopo cercai il suo numero sull'elenco telefonico, lo chiamai e riuscii ad ottenere un'intervista per una rivista universitaria. Quando ci vedemmo gli dissi che volevo fare da assistente volontario. Lui accettò la mia proposta ma mi disse che al primo errore mi avrebbe cacciato ma, per fortuna, andò tutto bene. Non è possibile fare questo lavoro se non si ha la voglia di scalare le montagne".

Sul palcoscenico, insieme ad Amelio, il critico Maurizio Di Rienzo gli chiede di spiegare il suo modo atipico di studiare il cinema, quando da giovanissimo non perdeva un'occasione per vedere una pellicola: "Io mi ricordo una totale mancanza di spocchia intellettuale: ero un semplice spettatore. Godevo del fatto di entrare in una sala cinematografica, perché nel paese in cui vivevo la vita non era così felice, né tanto meno aperta. Entrare in quel buio illuminato dal proiettore ti consolava dai guai umani. Non facevo differenze tra un film e l'altro. Purtroppo, non sempre potevo permettermi il biglietto e, dovendo trovare i soldi a tutti i costi, li rubavo. A un certo punto, cominciai a fare le versioni di latino e i temi per alcuni figli di poliziotti, in modo tale da poter usufruire della tessera dei loro padri per andare gratis in quel cinema che si chiamava come il mio primo libro: Politeama. Quando ho cominciato a fare questo lavoro, la mia palestra sono stati gli spaghetti western, i muiscarelli e i caroselli, non mi sono fatto mancare niente. Poi le mie ambizioni sono cresciute ma, con tutte le esperienze che avevo fatto, ero riuscito a imparare un mestiere".

Parlando della lunga carriera del regista, Di Rienzo si sofferma su un argomento di attualità come la migrazione, già trattato da Amelio in Lamerica: "I siriani, i nigeriani o chiunque altro sbarchi sulle nostre coste... ci siamo dimenticati che una volta siamo stati noi a passare quel calvario. Quello non era un film sugli albanesi che speravano di trovare delle condizioni migliori in Italia, bensì la storia di mio padre che sbarcava in Argentina. Noi abbiamo scordato e rinnegato un passato indelebile: anche noi siamo andati via per sfamarci e tentare di sopravvivere. La mia storia familiare è molto simile a quella dei migranti di oggi: prima è emigrato mio nonno, poi mio padre e dopo mio zio. Una volta, sorpassato il mare, era difficile tornare a casa e quello che si lasciava alle spalle non era solo il proprio passato, ma vedove bianche e orfani. Una volta eravamo noi a solcare l'Atlantico, oggi si attraversa il Mediterraneo. Anni dopo, sono andato a vedere il percorso che aveva fatto la mia famiglia emigrando e ho visto una realtà che è uguale a quella che oggi vivono molti uomini e donne. Un giorno, passeggiando con mio fratello abbiamo visto un ragazzo senegalese che tentava di sopravvivere vendendo accendini e altri oggetti, ci siamo guardati e ci siamo detti: “Forse papà ha fatto lo stesso per poter mangiare”. Tutte queste cose girando Lamerica non le ho pensate direttamente, ma le ho sentite dentro".

A conclusione dell'incontro, Di Rienzo domanda ad Amelio da quale stato d'animo sia uscito fuori "La Tenerezza": "In realtà, non lo so. Volevo e dovevo fare un film. Ho scelto gli attori e ho pensato a una storia avendo loro in mente. Per la prima volta, racconto di un uomo della mia età, un periodo che non mi piace molto. La tenerezza come stato d'animo è un bisogno che abbiamo tutti e che dovrebbe guidarci nel cammino della giornata. Lo stesso Papa Francesco ha detto che la tenerezza è un gesto che ci rende più liberi e, quindi, più forti".

Alessandra Tieri

30/07/2017, 14:49