"The Dreamers": rivisitare gli anni'60


Il racconto degli anni'60 nel film di Bernardo Bertolucci "The Dreamers".



Una scena del film "The Dreamers"
Per Bertolucci, tornare a Parigi per girare "The Dreamers" è stata un’esperienza emotivamente molto forte. Racconta Gilbert Adair, "Due dei film più famosi di Bernardo sono ambientati a Parigi: "Ultimo Tango a Parigi" e "Il Conformista". Sul set di "The Dreamers" abbiamo spesso scherzato dicendo che si sarebbe dovuto intitolare “Primo tango a Parigi”! Bernardo ha la capacità straordinaria di girare dei film a Parigi conservando la prospettiva di uno che non è né parigino né francese ma che conosce benissimo la città. Sa istintivamente che tipo di ambientazioni vuole utilizzare e sebbene Parigi sia stata il set di numerosi film dei registi della Nouvelle Vague, Bertolucci la filma in maniera diversa da tutti gli altri registi francesi". Il regista sapeva benissimo che sarebbero stati fatti molti confronti con i suoi film precedenti. "Ho cercato deliberatamente di evitare tutti i luoghi scelti per "Ultimo Tango a Parigi" e "Il Conformista", commenta il regista. "Non volevo che ci fosse nessun collegamento visivo tra "The Dreamers" e gli altri film da me realizzati a Parigi.
In realtà, anche se gli eventi narrati in "The Dreamers" si svolgono 35 anni fa, Bertolucci si è subito reso conto che uno stile documentaristico e diretto era fuori questione. Lo scenografo Jean Rabasse spiega: «Bernardo sapeva che avevo lavorato per Vatel, un film sfarzoso su Luigi XIV, ambientato a Versailles nel XVII secolo, e avevamo faticato molto per ricostruire quel periodo. Per "The Dreamers" la parola d’ordine era ‘meno è meglio’. Bernardo mi ha detto che non pensava ci fosse bisogno di tanti dettagli. Gli anni 60 a Parigi sono un periodo difficile da ricostruire, proprio perché relativamente vicino. Quindi invece di aggiungere accessori di scena e costruire set, abbiamo deciso di restare sul semplice. A volte, mentre guardavamo i giornalieri dicevamo, ‘Se gli spettatori non lo considereranno un film in costume, allora avremo vinto la nostra scommessa.’ Abbiamo cercato di mostrare il meno possibile perché cose come le auto d’epoca, i mobili d’epoca possono distrarre".
Su questo punto Bertolucci è chiaro. "Non volevo fare un film storico nel vero senso della parola", commenta il regista. "Volevo ricreare lo spirito del ‘68 ma non volevo assolutamente fare un’opera di ricostruzione. Credo che sia stata proprio questa preoccupazione ad impedirmi per un po’ di tempo di fare film ambientati in quel periodo. È il presente che mi interessa. Infatti l’unica maniera per fare un film ambientato nel passato, almeno per me, è farlo come se il passato fosse l’epoca nella quale viviamo ora. Quando giri un film, la realtà, la gente, i paesaggi, i volti e i corpi che sono davanti alla macchina da presa, anche se indossano i costumi del passato, sono contemporanei a te che giri. L’unico tempo che la macchina da presa può usare è il presente".
Su questo punto Bertolucci è stato molto chiaro con Gilbert Adair mentre scriveva la sceneggiatura. "Nel romanzo originale", spiega Adair, "c’erano troppe descrizioni su quello che succedeva per le strade di Parigi, ma Bernardo mi ha detto subito che non voleva una ricostruzione esatta e dettagliata degli eventi, in parte perché a questo punto della sua carriera non gli interessava come tema cinematografico, e poi perché, mi ha confessato: ‘Tu c’eri, io c’ero e c’è un qualcosa di osceno nel cercare di imitare qualcosa che abbiamo vissuto personalmente.’ Intendo dire che in "L’Ultimo Imperatore" ha ricostruito la Rivoluzione Cinese, ma si trattava di un qualcosa lontano anni luce dalla sua esperienza personale. Questa storia invece è parte della mia e della sua vita e quindi non voleva seguire quella strada". Ciò detto, Bertolucci non si è certo risparmiato per quanto riguarda le ricerche. "Bernardo fa più ricerche di qualunque altro regista che io conosca", racconta Thomas. "Prima di cominciare il film, sa già tutto sull’argomento che affronterà. Questo non vuol dire che utilizzerà tutte le informazioni che ha raccolto". Dopo aver soddisfatto la sua curiosità si è preoccupato che anche i giovani attori conoscessero bene la realtà dell’epoca.
"Bernardo ci ha mostrato alcune riprese delle manifestazioni di quei giorni", racconta Eva Green, "e anche gli scioperi e quindi abbiamo imparato molto, ma prima di allora non sapevo assolutamente nulla. Sono rimasta molto colpita: non pensavo che si trattasse di avvenimenti così importanti". Nonostante la portata relativamente limitata del progetto, non è stato comunque un film facile. Nel corso della sua carriera, Bertolucci si è sempre rifiutato di girare in studio e "The Dreamers" non ha fatto eccezione. "E’ stato tutto girato in esterni", conferma Thomas. "Tutti i film che ho fatto con Bernardo sono stati girati in esterni, tranne alcune scene di "L’Ultimo Imperatore" che abbiamo girato in studio perché non potevamo girare nelle sale del palazzo e quindi le abbiamo ricostruite a Cinecittà. Ma generalmente tutti i suoi film sono realizzati in esterni". Per sua stessa ammissione, Bertolucci fa questo per evitare le distrazioni che potrebbero nascere dal confort di uno studio. "In studio è tutto più facile", commenta. "Hai sempre la luce giusta, se vuoi allontanare la macchina da presa lo puoi fare, puoi anche buttare giù una parete. Quando giri in esterni non puoi fare nulla di tutto questo, ed è esattamente quello di cui ho bisogno. I limiti di un luogo reale sono sempre molto stimolanti. Mi piace sentire che la mia macchina da presa, come il mio corpo, ha un rapporto organico con l’architettura che mi circonda. È per questo motivo che non ho girato "Ultimo Tango a Parigi" in studio. Mi ricordo che Renoir mi disse che sul set bisogna lasciare sempre una porta aperta perché durante le riprese potrebbe arrivare qualcuno che non aspettavi. Questo è cinema e questa è la realtà che invade il tuo set. In uno studio la realtà non può mai irrompere sul set".
Come capita con qualunque altra produzione moderna, l’impegno all’autenticità ha creato numerosi problemi logistici. "Per il responsabile delle location è stato un incubo", racconta Rabasse, "perché, come succede in tutte le grandi città, ottenere i permessi per girare è stata un’impresa ardua". Mentre Jean-Luc Godard, François Truffaut e i loro colleghi potevano girare liberamente per strada senza chiedere né permessi, né autorizzazioni, oggi lo sviluppo urbano e la paranoia post-11 settembre hanno reso tutto molto difficile. "Ogni film ha i suoi problemi", commenta Thomas. "Le scene del 1968 sono state difficili da ricostruire perché le autorità non ci hanno dato il permesso di scendere in strada con manganelli sfollagente, idranti, manifestanti che tiravano pietre e rovesciavano automobili. In ogni caso, girare per le strade di una città è sempre molto difficile, che si tratti di Parigi, Londra o di qualunque altra metropoli. Fortunatamente non si tratta di ostacoli insormontabili ma è un qualcosa al quale bisogna dedicare tempo ed energie. Il problema maggiore sono state le automobili e i passaggi pedonali che nel 1968 erano gialli. Ogni volta che abbiamo girato per la strada abbiamo dovuto dipingere le strisce gialle. Trovare automobili di quel periodo è stato un altro lavoro difficile perché negli ultimi anni lo stato ha concesso degli incentivi per liberarsi delle automobili usate e comprarne delle nuove e quindi ormai è difficile trovare in giro automobili che abbiano più di 10 anni".
Mentre per alcune scene non ci sono stati problemi, come per esempio quelle girate alla Cinémathèque e al Louvre, dove i tre protagonisti ricreano il famoso sprint del film di Godard Bande A Part, altre ambientazioni non sono state più usate per le difficoltà incontrate. Per esempio, all’inizio si era pensato di ambientare le scene degli scontri a St German; tuttavia la zona è stata scartata perché i disordini del ‘68 hanno avuto delle ripercussioni incredibili su tutta la zona. "E’ stato impossibile girare a St German", racconta Rabasse, "e lo abbiamo capito subito. Dopo il maggio ‘68, il Sindaco di Parigi ha tolto tutto il pavé perché pensava che fosse troppo pericoloso lasciare quelle munizioni a disposizione degli studenti. Oggi le strade con il pavé si trovano solo nei quartieri più ricchi di Parigi, quelli che non sono frequentati dagli studenti". All’inizio Gilbert Adair era scettico riguardo alla capacità della troupe di lavorare con simili limitazioni ma, cosa sorprendente per un cinefilo come lui, ammette di aver sottovalutato le risorse della troupe. "Lo scenografo e i suoi assistenti hanno fatto un lavoro magnifico", ammette lo scrittore. "All’inizio pensavo che non avrebbe funzionato perché erano cambiate troppe cose – alcuni bar che io ritenevo fondamentali per ricreare l’atmosfera non c’erano più. Quando abbiamo filmato le scene dei disordini, pur essendo organizzati alla perfezione, ho avuto la sgradevole sensazione che le cose sarebbero andate male. Quando poi ho visto i giornalieri sono rimasto estremamente colpito. All’improvviso sono stato investito dai ricordi del ‘68, cosa che non era successa mentre osservavo le riprese. Per me, questo è cinema".
Una volta risolto il problema delle scene in strada, girate in agosto quando Parigi è pressoché deserta, Bertolucci si è concentrato sulle scene nell’appartamento dove i giovani mettono in scena il loro psicodramma. Come racconta Rabasse, Bertolucci è molto preciso nella scelta delle ambientazioni e pretende che riflettano esattamente la storia. "Ricordo di avergli mostrato una fotografia del set che avevo scelto per l’albergo dove alloggiava Matthew e lui mi ha risposto: ma cosa pensi? Che storia è questa? Che posto è mai questo? E così ho capito che non avevo scelto il posto giusto e abbiamo ricominciato tutto dall’inizio; abbiamo dovuto tinteggiare nuovamente le pareti e cambiare gli arredi e Bernardo mi ha detto che nello scegliere un set dovevo sempre pensare soprattutto a chi viveva in quella stanza, e a che tipo di persona l’avrebbe scelta. Quando si ricostruisce un ambiente bisogna sempre pensare alla vita che dovrebbe svolgersi lì dentro e non soltanto ai dettagli materiali".
Dopo numerose ricerche, è stato trovato anche l’appartamento che soddisfaceva le esigenze di tutti, non solo quelle di Bertolucci. Racconta Thomas, "Abbiamo trovato un intero edificio con un cortile e siamo riusciti a farci entrare tutta la troupe. C’era posto anche per i camerini e le sale trucco. L’unica cosa rimasta all’esterno è stata la roulotte del catering. E’ stata la situazione ideale perché l’appartamento è un altro protagonista del film, che vive e respira".
L’appartamento scelto ha colpito molto anche Adair, visto che in questo film ha un ruolo altrettanto importante quanto quello del luogo umido e impersonale occupato da Brando e Schneider in U"ltimo Tango a Parigi". "In un certo senso", spiega, "l’appartamento è il vero protagonista del film. Per gran parte delle riprese il set era
chiuso e quindi c’eravamo solo noi e i corpi nudi o semi-nudi dei tre ragazzi, e quell’appartamento è diventato il nostro mondo. È come quando si fa una crociera in mezzo all’oceano: il mondo si restringe sempre di più e non t’importa più nulla di quello che succede fuori. In un certo senso è quello che stava succedendo ai personaggi: non possono uscire dall’appartamento, nonostante tutto quello che sta succedendo intorno a loro. Sentiamo le grida, le sirene della polizia e anche loro le sentono, ma quello che sta succedendo nelle loro vite è molto più importante".
Nonostante i facili riferimenti, Thomas insiste nel dire che non si tratta di un tentativo per sfruttare il successo di "Ultimo Tango a Parigi" e fare un altro film scandaloso. "Non vogliamo creare scalpore", commenta, "è soltanto una bella storia su tre ragazzi in un momento ben preciso della loro vita". Michael Pitt è d’accordo con lui. "Si vedono tante cose che altri film non hanno il coraggio di mostrare, il che è piacevole. Non credo che sia un film scandaloso. Credo che l’unico motivo per il quale film come questo facciano scalpore è perché sono pochi quelli che li fanno. Penso anche che film del genere facciano meno scalpore in Europa piuttosto che in America, dove il pubblico è più severo nei confronti del sesso che della violenza, per esempio. È una cosa molto strana", conclude l’attore: "Il pubblico è libero di vedere scene di violenza anche gratuita, ma non persone nude".

09/02/2007