"Il cinema italiano è in netta crescita dal 2000 a oggi"


Intervista a Franco Montini, curatore insieme a Vito Zagarrio del volume edito da Rubbettino


Colpisce positivamente il vostro giudizio positivo sul cinema italiano, troppo spesso facilmente criticato altrove. Da cosa nasce questo giudizio?

Nasce da una riflessione ad ampio raggio sulle ultime stagioni del cinema italiano, cercando di distaccarci dalla cronaca giornaliera: il miglioramento dal 2000 ad oggi c'è stato ed è evidente, ora il nostro cinema ha meno difficoltà a raggiungere il suo pubblico e anche a farsi notare all'estero.
Si è completato in qualche modo un ricambio generazionale, non solo per quanto concerne gli autori e i registi ma anche tra gli attori e i tecnici: i risultati positivi come detto ci sono, ma c'è da fare ancora molto anche perché negli ultimi tempi si è avuto un calo, forse si è arrivati alla fine di un ciclo di crescita positivo.
Rivedere gli argomenti affrontati è necessario ma non solo, ci vuole una maggiore attenzione alla qualità. Il cinema d'autore dovrebbe guardare più attentamente ai gusti del pubblico, e il cinema popolare dovrebbe puntare a una maggiore raffinatezza.

Nel volume affrontate molti argomenti, con una particolare attenzione verso i "casi" Garrone e Sorrentino. Sono ancora loro i nostri "fari"?

Credo di sì. Purtroppo per i tempi produttivi non velocissimi del nostro cinema da quel festival di Cannes del 2008 che li ha imposti sulla scena mondiale non abbiamo avuto molte occasioni per valutarli di nuovo.
Garrone è tornato con "Reality", che se forse a livello di contenuti è arrivato un po' in ritardo ha confermato la sua grande capacità di messa in scena. Sorrentino ha avuto la sua esperienza in America con Sean Penn, e ora aspettiamo il suo nuovo film italiano, probabilmente a Cannes 2013.
Se c'è un difetto nel nostro cinema è l'uso di un linguaggio antiquato, piatto e con codici televisivi (è la tv del resto a produrne la gran parte, quindi ciò è inevitabile): Garrone e Sorrentino sono i nostri registi più "cinematografici".

Accanto a loro alcuni ritratti importanti: Argento, Salvatores, Mazzacurati: come mai loro?

Ci interessava verificare il rapporto anche un po' difficile e ambiguo, per non dire "strano", tra cinema d'autore e cinema di genere. Quelli citati sono tutti "autori" che non si può non definire tali, con una propria cifra stilistica personale ma che guardano al "genere" con interesse da sempre.
Questa commistione tra autore e genere potrebbe essere una delle soluzioni più interessanti per lo sviluppo del cinema italiano, e loro hanno sempre saputo reinventarli per applicarli al loro cinema.

Tra le nuove leve su chi scommetterebbe per il futuro?

In questa stagione i due film italiani che più mi hanno convinto sono un'opera prima e un'opera seconda.
L'opera prima è di Leonardo Di Costanzo, un regista esperto di documentari che con il suo "L'Intervallo" ha dimostrato di essere molto interessante anche quando si cimenta con la finzione. L'altro film è "Alì ha gli occhi azzurri" di Claudio Giovannesi, un'opera a metà strada tra finzione e doc, che nasce da un suo precedente lavoro e si "trasforma" prendendo uno dei ragazzi intervistati in "Fratelli d'Italia" e facendolo diventare il protagonista.
Non è un caso che entrambi i film abbiano a che fare con il documentario, su cui c'è un'intera sezione nel libro: qualche anno fa era un genere che sembrava superato e invece è uno degli aspetti più interessanti del nostro cinema, sia perché racconta realtà che nessuno affrtona, sia per aspetti linguistici e stilistici.

30/01/2013, 10:00

Carlo Griseri