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SIMONE GANDOLFO - "Il mio (primo) film di genere"


Intervista al regista imperiese di "Cose cattive - Evil things", prodotto da Luca Argentero con la Inside Productions


SIMONE GANDOLFO -
Simone Gandolfo
Che esperienza è stata quella della regia?
Straordinaria, meravigliosa. Si è creato un grande gruppo, il cinema è un'arte che da soli non si può fare, è il risultato di una squadra che lavora insieme. Dal primo incontro che abbiamo fatto questo ci è stato molto chiaro, e per questo abbiamo vinto.
Abbiamo girato in quattro settimane nei dintorni di Torino, con una troupe di 17 persone in produzione e altre 5-6 tra pre e post-produzione.

Perché esordire con un film horror?
Io sono un appassionato del genere, ma non lo difendo ad ogni costo. La mia passione è iniziata con "Saw", con i thriller psicologici degli anni '90.
L'idea di fare un film di questo tipo è nata perché volevamo raggiungere un pubblico di adolescenti, e loro tendenzialmente guardano o commedie demenziali o horror. Abbiamo ritenuto che in questo momento questo secondo genere fosse quello più giusto, essere "di genere" non vuol dire non aver nessun significato profondo. Penso proprio a "Saw", o anche a film come "Lasciami entrare".
Un film di denuncia "vero" non credo avrebbe un gran pubblico, gli operatori culturali italiani hanno abdicato dal loro ruolo qualche anno fa, e il pubblico non sa più riconoscere la bellezza.
E' stata una scelta ponderata, il canale migliore per fare arrivare il nostro messaggio al pubblico per cui era pensato.

E perché un film horror che ruota intorno a internet?
La rete può essere un po' pericolosa, l'istinto non ti può aiutare perché non puoi avvalerti dei tuoi sensi, ma viene vissuta come una protezione che invece non è. A me ha colpito, nel mio piccolo, quando un paio di anni fa dopo la mia partecipazione in tv a RIS i miei amici su Facebook sono cresciuti da qualche centinaio a diverse migliaia. In molti mi scrivevano: sei quello vero? Io dicevo sì, e la seconda domanda era: ma allora quando ci incontriamo? Direttamente, senza più alcun problema: si fidavano di un semplice sì, ma io avrei potuto essere davvero chiunque! Questo tema quindi mi ha colpito, e ne ho fatto il centro del mio film: la società oggi non riesce a stare al passo con la tecnologia, c'è una zona d'ombra in cui può risiedere il pericolo.

Il film è costato solo 100.000 euro.
Sì, è stato possibile anche perché cast e troupe hanno tutti lavorato in compartecipazione degli utili, essendo però ovviamente anche pagati. Con cachet "normali" saremmo stati al massimo sui 400.000, grazie alla tecnologia l'abbattimento dei costi è evidente.

La distribuzione è molto "originale".
Il problema è stato che la standardizzazione del sistema distributivo ha dei costi fissi molto alti, anche in un caso come il nostro in cui avevamo realizzato a spese nostre tutto, persino il DCP!
Quindi abbiamo preso la nostra copia, e andiamo in giro per l'Italia a mostrarla in maniera indipendente nei cinema che ce lo chiedono.

Ti ispiri a qualcuno in particolare?
Direi a Gabriele Salvatores, che non si è mai seduto sugli allori e dopo un Oscar per un film come "Mediterraneo" ha spiazzato tutti andando a girare "Nirvana".

03/04/2013, 09:00

Carlo Griseri