Note di regia del film-tv "L'Oro di Scampia"
Quando Roberto Sessa, il produttore de L’oro di Scampia, mi ha raccontato il progetto sono rimasto subito affascinato dalla storia, dal fatto che parlasse del Judo, sport che praticavo durante l’infanzia a livello agonistico, e dalla presenza di Beppe Fiorello che aveva proposto e sponsorizzato il progetto sin dalla sua genesi.
Leggendo la sceneggiatura del film mi sembrava di ritrovare i temi e le emozioni che mi avevano spinto ad esordire alla regia con PA-RA-DA, la mia opera prima per il cinema.
Certo l’ambientazione era molto diversa: si parla di judo, non un semplice sport ma un’arte marziale con una sua filosofia, all’interno di uno dei quartieri più caldi di Napoli, mentre lì raccontavo dei ragazzi che popolano i canali sotterranei della città di Bucarest e del loro rapporto di amicizia (che passa attraverso la magia del circo) con un clown. Ma le analogie ci sono: c’è una gioventù in grande difficoltà e, sia nell’una che nell’altra storia, un “pazzo” che vota la sua vita a cercare di migliorare quella di questi ragazzi.
Nel caso de L’oro di Scampia Beppe Fiorello interpreta un personaggio, Enzo Capuano, liberamente ispirato a Gianni Maddaloni. Capuano (Maddaloni), attraverso l’insegnamento del judo nella sua palestra – che diventa anche un punto di ritrovo – ha sempre sognato di dare un’alternativa di vita ai ragazzi di Scampia che altrimenti finirebbero molto probabilmente nella rete della camorra, prima come vedette, poi impiegati per il piccolo spaccio, per terminare la “carriera” nei ranghi di una qualche famiglia camorrista.
D’accordo con gli altri ho pensato che, trattandosi di una materia molto delicata e per di più di una storia vera, si dovesse raccontarla in maniera realistica e nel pieno rispetto di chi quella realtà la vive, anche rischiando, tutti i giorni.
La storia non è solo quella di Enzo Capuano (Beppe Fiorello) e dello scontro tra lui e suo figlio Toni (Gianluca Di Gennaro), il migliore allievo della palestra che ha idee molto diverse sul futuro rispetto al padre/allenatore, ma quella corale di un gruppo di ragazzi – con il loro vissuto, le loro amicizie, le rivalità – e di tutto il quartiere. Un quartiere con regole particolari. Una vicenda che, grazie alla tenacia dei suoi protagonisti, porta ad un riscatto: Toni vince le Olimpiadi e quella vittoria non è solo sua e di suo padre, ma di tutti quelli che vogliono cambiare in meglio Scampia.
Le location principali sono la palestra di Capuano (un’ex scuola che abbiamo riadattato) e le “Vele”, spesso protagoniste sulle pagine di cronaca e già ampiamente immortalate da Garrone nel film Gomorra: ricordo molto bene l’effetto che fece su tutti noi il primo sopralluogo: i ragazzi che si bucavano davanti a noi, l’immondizia, lo sfacelo dentro gli appartamenti semi-murati… ma anche un posto pieno di umanità. Finito il sopralluogo, condotto con l’aiuto della polizia, abbiamo deciso che dovevamo girare il film lì, dove la storia si era realmente svolta, nonostante le difficoltà che avremmo dovuto affrontare. E proprio uno degli agenti che ci accompagnavano in quell’occasione si è rivelato un collaboratore prezioso nel corso delle riprese: sempre al nostro fianco, è stato essenziale per capire tante dinamiche del quartiere e penetrare quella realtà. Il caso ha voluto che fosse anche un judoka, quindi ci ha aiutati anche nella messa in scena dei combattimenti.
Naturalmente figura fondamentale, oltre che ispiratore della storia, è stato Gianni Maddaloni: da lui, insieme a Beppe, abbiamo raccolto tante informazioni utili per la costruzione del personaggio, e nella sua palestra ho cominciato a fare i casting per i giovanissimi judoki protagonisti della nostra storia. Ma non è bastata la sua palestra per mettere insieme trenta ragazzi di età diverse, quindi abbiamo visitato quasi tutte le palestre di Napoli facendo centinaia di provini. Certo i requisiti richiesti erano molti: i ragazzi dovevano essere bravi nell’arte marziale, avere facce vere e vissute, essere disinvolti e naturali davanti alla macchina da presa… Non siamo riusciti a trovare però chi avrebbe dovuto interpretare Pino, figlio di Gianni Maddaloni e medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sidney (nel film Toni Capuano). Il tempo stringeva, quindi abbiamo allargato il casting ai giovani attori napoletani. Ne abbiamo visti molti, ma il più giusto per il ruolo ci è sembrato Gianluca Di Gennaro, nonostante un piccolo difetto: non capiva niente di Judo e nel giro di poche settimane sarebbe dovuto diventare un campione. Siamo corsi ai ripari assegnandolo ad una maestra, scegliendo una controfigura, e Gianluca non ha disatteso le nostre aspettative: ha dato molto sia come attore che come “neojudoka”.
Con Beppe abbiamo avuto un rapporto all’insegna della fiducia e della piena collaborazione: è stato un bene, perché si è trattato di un film molto stancante, difficile per tutti. Ha imparato le basi del Judo e fisicamente ha preso “volume”, non tanto per assomigliare al vero Maddaloni, ma per dare più autorevolezza e credibilità al suo ruolo di judoka. Inoltre, con Beppe siamo riusciti a mettere a proprio agio chi non aveva esperienza: oltre alla sua, anche la presenza di Anna Foglietta e Ciro Petrone ci ha aiutati molto – oltre a far emergere l’umanità dei loro personaggi – anche a far sciogliere i ragazzi.
Per facilitare tutti i “non-attori”, non abituati al set, e per restare in linea con uno stile realistico, abbiamo usato molto la macchina a mano, che ci ha permesso di non avere un linguaggio troppo ingessato sia durante le riprese che al montaggio (curato da Alessio Doglione). La scelta fotografica, condivisa con il direttore della fotografia Enzo Carpineta e forse in controtendenza, è stata di girare in 16mm e di sfruttare la granulosità e la pasta morbida della pellicola per restituire le emozioni che provavamo ogni giorno, senza l’effetto iper-realistico che a volte può avere il
digitale. Anche nelle musiche di Forti e De Luca ho cercato di avere una certa pulizia, sin dalla scelta degli strumenti: abbiamo avuto l’intervento di tante percussioni e strumenti singoli. Una canzone che mi sembrava particolarmente adatta all’introduzione di un personaggio è stata composta e cantata da Raiz, con il quale avevo già collaborato per Passione di John Turturro e che ha sposato subito il progetto. Con lui e con Alessandro Daniele, figlio di Pino, abbiamo riarrangiato una famosa canzona del padre, “Yes I Know My Way”, che segna il principio del lungo cammino verso la vittoria alle Olimpiadi.
In ultimo, sia nella messa in scena che nella recitazione ho cercato di avere lo stesso approccio asciutto. Che non significa senza sentimento, ma scevro di retorica: la storia era forte e non aveva bisogno di altro.
Ringrazio tutti quelli che hanno permesso questo film.
Marco Pontecorvo