Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

ASCANIO CELESTINI - "Mi interessa l'umanità dei disgraziati"


Intervista al regista che, intervenuto al Cineclub Arsenale di Pisa per presentare "Viva la sposa", ci ha raccontato a cosa si è ispirato per i suoi "burattini umani".


ASCANIO CELESTINI -
Attore e autore eclettico, con una lunghissima carriera tra teatro, cinema, letteratura, radio e tv. Ascanio Celestini è uno degli intellettuali italiani contemporanei più interessanti, che in ognuna delle numerose sfide artistiche ha saputo raccontare con stile personale i drammi e le psicosi del nostro paese.

Dopo il passaggio all'ultimo Festival di Venezia nelle Giornate degli autori, esce in sala il suo "Viva la sposa", ambientato nella periferia romana e che lo vede nei panni di un povero alcolizzato. In occasione della presentazione del film al Cineclub Arsenale di Pisa, abbiamo intervistato Celestini che ha raccontato come è arrivato a concepire i suoi personaggi.

In vari momenti, anche in quelli che dovrebbero rappresentare il dolore più profondo come un lutto familiare, decidi di inserire qualche elemento che porti lo spettatore ad un sorriso. Come si riesce a giocare con l'umorismo in situazioni in cui da ridere c'è ben poco?
Questi personaggi non si prendono molto sul serio e non hanno quei filtri per cui, se è morta una persona e non me ne frega niente, devo per forza fingere o stare zitto. Dicono quello che pensano, così come quando Nicola racconta la storia della santa che viene sgozzata, racconta una fiaba senza che essa debba essere ripassata nel fritto borghese e quindi parlare dei fiorellini, dell'orsetto o del leprottino. Per prima cosa i bambini non sono così, ma si divertono molto di più a sentire schifezze rispetto ai leprottini e ai fiorellini, e non si pongono proprio il problema, non hanno questo ostacolo. Mio padre era un piccolo artigiano e mi capitò una volta di andare da un marmista per recuperare un pezzo per un mobile e quando arrivammo era tutto chiuso e c'era solo la moglie. Allora mio padre gridò "aò, ma nun ce sta il marmista?" e la moglie rispose "sta a fa a tèra pe i ceci". Ciò vuol dire che stava coltivando la terra e parlò così di suo marito nella realtà, non in un mio film. Per cui se noi togliamo questi ostacoli del "questo sarebbe meglio non dirlo" e "questo sarebbe meglio non farlo", tiriamo fuori qualcosa di più sensibile, magari più nel nostro inconscio, però lo tiriamo fuori.

Apri il film mostrando un burattino, ma con il passare del tempo ci si accorge che ad essere dei fantocci sono in realtà gli esseri umani che si muovono in uno spazio delimitato, quasi teatrale. Perchè hai voluto che i tuoi personaggi fossero così poco vicini alla realtà?
Diciamo che già il burattino, il pupazzo, la marionetta rappresentano un'umanità senza esserlo. Penso ad esempio a Pinocchio, che pur avendo elementi della tradizione è comunque un libro scritto da un autore e che cito nel finale con "come ero buffo quando ero un burattino di legno, come sono felice di essere diventato un bambino in carne ed ossa", ma dicendo precisamente il contrario. In quel caso Pinocchio non ha convenzioni, convince il babbo ad uscire dalla bocca del pescecane dicendogli "ti salvo io, ti salvo io", ma dopo due bracciate esclama "babbo io muoio" e quindi non sai a cosa sta andando incontro. E questi personaggi sono così, fanno delle cose senza sapere a cosa vanno incontro. Non lo sa ad esempio Nicola quando si ubriaca di continuo, ma quando si accorgono un pochino di cosa stia succedendo diventa tutto tragico. L'unico che davvero capisce cosa succede è Sasà, perchè in tre parole la barista gli dice cosa è accaduto e lì realizza di non aver bruciato una macchina ma di aver dato fuoco a una bambina. Ma soprattutto si accorge che chi va per fare la prima cosa finisce per fare la seconda, perchè è lo stesso gioco, lo stesso ambiente. Pensava di fare una cosa furba e invece ne sta facendo una atroce perchè il mondo nel quale si è infilato è un mondo atroce.

Sullo sfondo, quasi fosse un fantasma, appare di tanto in tanto la sposa citata nel titolo. E' un'attrice hollywoodiana in viaggio di nozze e quando arriva all'Aquila le telecamere delle tv nazionali sono tutte per lei. Come è possibile che questo paese abbia la memoria così corta e si ricordi di ritornare su certi drammi solo se in presenza di questo o quel vip?
Ma perchè l'informazione funziona così. Un anno fa abbiamo organizzato un festival di teatro a Lampedusa e parlando con il direttore di Rai3 Marino Sinibaldi, mi chiese in modo provocatorio se avesse davvero avuto un senso andare in quel posto, perchè in fondo se ne parlava gia abbastanza. Si, è vero, se ne parla tantissimo, ma quando ci stanno i morti. Arriva un riflettore potentissimo che brucia tutto e che inquadra soltanto una parte di quello che accade. Al quel punto è chiaro che non puoi mettere come notizia di apertura del telegiornale che a Lampedusa si vive di turismo, perchè non gliene frega niente a nessuno, mentre invece dovremmo essere interessati proprio a quello, a capire il contesto in cui le cose accadono. Invece noi sappiamo solo le cose che accadono ma non abbiamo più i contesti. Per questo per parlare dell'Aquila devi portare una diva di Hollywood, se no come notizia dovresti dire che in questi anni è cambiato pochissimo, che i cantieri sono aperti, una parte delle case sono impacchettate e quasi nessuno è tornato a vivere al centro. Gia siamo distratti quando ci parlano dei morti a Gaza, figurati che distrazione possiamo avere nei confronti di una notizia che non somiglia alle altre notizie. E' una questione di linguaggio, come se io aprissi il Tg1 e invece di parlare in italiano parlassero in cinese. La gente non capisce perchè ormai è un'altra lingua.

Hai ambientato la storia nel Quadraro, la periferia romana tanto cara a Pier Paolo Pasolini. A pochi giorni dalla ricorrenza dei 40 anni dalla sua scomparsa ti chiedo, che eredità è riuscito realmente a lasciare Pasolini, e cosa è diventata oggi quell'umanità che ha raccontato?
Vedi, Giovanna Marini che ho conosciuto e che sta debuttando con uno spettacolo su Pier Paolo Pasolini dice che tutto sommato Pasolini non ha lasciato nessuna eredità. Ci confrontiamo con lui ma non come qualcuno che in qualche modo ha portato avanti qualche cosa che lo rappresentava. Non lo ha fatto Citti che ha fatto una commedia grottesca che forse può somigliare ad "Uccellacci uccellini" o a "Che cosa sono le nuvole?". Non lo ha fatto un suo possibile erede che è stato Vincenzo Cerami, anche se so di una scena di "Un borghese piccolo piccolo" di Monicelli scritto da lui, girata proprio a Largo Spartaco e con Ettore Garofalo nel finale. E' un po perchè Pasolini è stato un'eccezione, perchè si è occupato di un mondo che per il cinema non è affascinante. Affascina molto la cronaca ma non affascina per niente gli artisti. La forza del Neorealismo è stata nel fatto che raccontasse l'Italia, ma Pasolini non raccontava l'Italia, ma un mondo specifico, per certi versi anche più universale di un "Roma città aperta". Tu vedi un film del genere e realizzi che quella è l'Italia alla fine della seconda guerra mondiale, mentre guardi "Accattone" e ti accorgi che quello è il sottoproletariato urbano, un mondo nascosto da un altro mondo. E quindi oggi il poveraccio non interessa o lo trovi nella commedia sotto forma del precario. Ma il disgraziato vero non lo trovi più.

Mentre a te i disgraziati veri interessano, tanto da averne voluto uno protagonista di questo tuo film...
A me personalmente sembrano interessanti e penso che chi scrive debba scrivere dell'uomo, sempre. Li c'è un'umanità che è più visibile. Non penso che il presidente del consiglio di amministrazione della multinazionale sia meno umano del barista che si impegna il bar perchè gioca a carte. Credo soltanto che il barista che si impegna il bar metta in mostra la sua umanità in modo migliore, più evidente.

Una produzione quella di "Viva la sposa", che si è avvalsa anche della collaborazione di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Come siete entrati in contatto e come è scattata la scintilla?
Anni fa gli proponemmo gia il progetto per "La pecora nera", loro si dimostrarono interessati ma era un po tardi. Lavoro parecchio in Belgio e nel gennaio 2013 ho debuttato lì con uno spettacolo che ha lo stesso titolo di uno che metto in scena in Italia che si chiama "Discorsi alla nazione" e che andò benissimo. Il debutto fu a Liegi, dove vivono loro e quindi la sceneggiatura l'hanno letta anche perchè persone che lavorano con loro avevano visto lo spettacolo. Mi diceva Fabrizio Rongione, che avremmo voluto nel film ma era impegnato, che i fratelli mi conoscono per quello spettacolo che persino sua madre che in genere non va a teatro aveva visto. Per cui abbiamo messo insieme le cose e dall'interesse di entrambi è venuta fuori questa collaborazione.

22/10/2015, 22:49

Antonio Capellupo