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LOCARNO 70 - "Anatomia del Miracolo" di Alessandra Celesia


Presentato al festival ticinese il nuovo lavoro diretto da Alessandra Celesia.


LOCARNO 70 -
Una scena di "Anatomia del Miracolo"
Anatomia del Miracolo” è un documentario che trascina lo spettatore per le vie di Napoli e paesi limitrofi. Non si parla però di camorra, di cibo o delle bellezze della Campania: stavolta si parla di religione, in un film che catapulta lo spettatore in un'Italia disperata e immobile, un paese in un'impasse in attesa del miracolo.

L'opera racconta la storia di tre donne e del loro rapporto con la fede. La prima è un'antropologa, da sempre sulla sedie a rotelle, cresciuta nel paese della madonna dell'arco (quarta coprotagonista del documentario) e diventata atea, non solo perché il miracolo non l'ha mai ricevuto, ma soprattutto perché, come sottolinea, i miracoli sono per i deboli, per chi non ha la forza di accettare e convivere con i propri limiti.

La seconda donna è Sue, una pianista coreana che, affascinata da Napoli, decide di trasferircisi per conoscere e abbracciare le tradizioni della città. Mentre l'ultima è Fabiana, una transessuale, che non perde neanche una delle tradizionali manifestazioni religiose del quartiere.

Personaggi atipici e curiosi che, nonostante ciò, non si estraniano dal luogo e anzi ne sono parte integrante, chi più e chi meno, circondati da una normalità forse sconosciuta a molti, soprattutto agli italiani delle grandi città.

Alessandra Celesia, regista di “Anatomia del Miracolo”, realizza un documentario che insegue queste persone, dando un accenno della loro vita, senza però parlarne veramente. Non le interessa mostrarci chi sono e cosa fanno in quanto persone, ma piuttosto vuole mostrare il loro rapporto con questa società sofferente, con i piccoli piaceri e con la religione.

Un approccio che può diventare un'arma a doppio taglio perché, sebbene come documentario offra uno spaccato interessane della nostra realtà, parlare in generale, partendo dal particolare senza però raccontarcelo a 360 gradi, rischia di tagliare fuori lo spettatore da una visione partecipe e dalla possibilità di immedesimazione.

Elisa Pulcini

05/08/2017, 20:00