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FESTIVAL DEI POPOLI 58 - Intervista a Martina Di Tommaso


FESTIVAL DEI POPOLI 58 - Intervista a Martina Di Tommaso
Martina Di Tommaso
Il doc "Via della Felicità" è stato presentato in anteprima nazionale nel Concorso Italiano del Festival dei Popoli. Ambientato tra Bari e Bonn, racconta di un futuro possibile, ma forse tortuoso, in un Paese diverso dal proprio. Abbiamo intervistato la regista Martina Di Tommaso.

Il film si chiama "Via della Felicità", ma forse si sarebbe potuto intitolare "Via dalla felicità", vista la parabola della protagonista, giusto?
La scelta del titolo nasce dal fatto che nel quartiere popolare del barese raccontato nel film, fatto di casermoni senza nessun negozio o servizio per il cittadino, le strade si chiamino in modi tipo Via del Coraggio, Via della Salute o Via della Legalità, e chiaramente la strada principale è Via della Felicità, dove hanno abitato Elisa e i ragazzi. Era il titolo adatto ad un viaggio alla ricerca di una felicità possibile, ma in realtà questa felicità è poi tutta da vedere...

Ad un certo punto il capo-chef del ristorante dice alla protagonista "c'è gente che viene a lavorare perchè ha bisogno, a me serve gente che lo faccia con voglia". E' un italiano, ma si comporta da vero tedesco. Come spieghi questa trasformazione d'identità?
Gli italiani presenti nel film sono lui, il suo capo prima di licenziarla, e il ragazzo che fa il barista alla fine. A mio avviso rappresentano le due possibilità che lo straniero ha di prendere lo stare in Germania, o in generale all'estero, o diventare tedesco o non essere mai felice. Le regole dell'accoglienza prevedono esattamente questo, rispettare delle regole, a volte rischiando perfino di perdere la libertà. L'identità, anche interiore, viene schiacciata dalla burocrazia, dallo stare la, e Lello si è infatti tedeschizzato.

Utilizzi la Skype call sia in termini narrativi, che di regia, quasi da camera aggiunta. Si pone in questo caso la questione delicata dell'autenticità delle emozioni trasmesse attraverso un tablet e a tua volta riprese. Come le hai avvertite e come avevi pensato all'utilizzo di Skype in fase di scritura?
Anthony, il figlio della protagonista è realmente imbarazzato, ma non tanto per la mia macchina addosso, ma perchè la mamma gli ha appena detto "quanto sei bello". Ha quindici anni, e sentirsi dire una cosa del genere mentre ti stanno filmando porta ovviamente ad una reazione simile. Nel mio film ho sempre immaginato Skype come un ponte verso l'altrove, e avevo pensato che mi sarebbe interessato anche il contrario, anche se poi non l'ho fatto. Avrei voluto utilizzarlo molto di più, ma alla fine ne restano tre sequenze, quella della sorella della protagonista che le dice che a Bari non avrà futuro, e li escludo Elisa, Skype diventa l'unica camera. Poi ci sono le due con Anthony, rimasto a Bari perchè non vuole trasferirsi in Germania, e li era importante filmare questi confronti. Quello che rende tutto più fluido nel cinema del reale è quando assisti o film più volte alla stessa dinamica. Io preferisco assistere, filmo davvero poco, e questo ti permette di diventare invisibile.

Ad un certo punto la protagonista mette alla radio "Felicità" di Al Bano, che dice "felicità è tenersi per mano, andare lontano". Ma pare invece che non sia del tutto vero...
Felicità non è andare lontano. La canzone è arrivata per caso, eravamo in macchina e la stavo filmando, come facevo ormai da un anno, e in quel momento mi disse "mo ti metto una canzone tedesca". Partì "Felicità" e iniziammo a ridere. Lei voleva proprio farmi ridere, ma in realtà si emozionò moltissimo, era la canzone più giusta e più sbagliata allo stesso tempo, perchè le ha fatto salire una malinconia incredibile, sentimento per cui in questa parabola cerca riscatto per lei e i suoi figli. I ragazzi la trovano questa possibilità, tra immaginazione e resistenza, lei viene invece smascherata da un cameriere italiano che le chiede "pensi davvero che sarai felice qui?". E forse no...

15/10/2017, 11:29

Antonio Capellupo