Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

Note di regia di "Il Re Muore"


Note di regia di
Il film prende origine dall’opera RICCARDO II di William Shakespeare, ampiamente percorsa dall’autrice-regista con itinerario di appassionato approfondimento. D’altra parte al repertorio shakespeariano, e più ampiamente al teatro elisabettiano, l’autrice ha dedicato anni di studio e lavoro per la messinscena, con affinamento di riflessione e esperienza su quel mondo e quelle figure che, nel complessivo della narrazione drammaturgica, rappresentano il più prezioso e denso patrimonio letterario di riferimento umanistico concesso all’Occidente. Il meraviglioso fluire della scrittura - che non di rado tocca i vertici alti della poesia - la complessità degli impianti sottesi allo sviluppo narrativo delle singole opere, il cesello dei personaggi e l’universalità dei temi proposti al di là della ristrettezza di tempi e luoghi, ma piuttosto in una prospettiva meta-temporale, fanno di questo repertorio una straordinaria, insostituibile lente d’ingrandimento anche per la messa a fuoco del tempo presente.
Il film trae le mosse dal dramma shakespeariano Riccardo II, ma se ne appropria con autonoma elaborazione, pur conservandone nelle linee generali la trama e brani del testo, questi ultimi trattati nell’essenza, con scelta linguistica rispettosa, nella traduzione, dell’originalità poetica di provenienza.
L’opera è d’impianto severo, il meccanismo del potere vi è rappresentato in maniera diretta, senza ricorso ad artifici. Al centro del dramma il concetto di “maestà regale” che, spogliata di illusoria sacralità viene inglobata nel meccanismo della storia, e sottoposta allo scontro e al prevalere nei rapporti di forza. “Narrando la caduta di Riccardo II, l’ultimo re per diritto divino sul trono inglese, Shakespeare racconta un’apocalisse della storia” ( nota di copertina al saggio di Cesare Catà, dedicato alla figura di questo re).
La politica è arte di conquista, soprattutto arte di conservazione del potere, ma Il mondo è soggetto a sconvolgimenti non dissimili da quelli che solitamente produce un uragano: come l’ordine della natura è minaccioso negli accadimenti a venire, così è spietato l’ordine della storia, e spaventose sono le passioni che affondano nel cuore dell’uomo. Riccardo è figura di straordinari squarci poetici, sensibile raffinato intelligente, ma poco incline al mestiere di re; è incapace di cogliere gli umori del mondo intorno, di pesare il senso concreto delle cose e degli eventi, di reggere alla forza sovrumana del potere. Egli perde il contatto con la realtà, viene travolto dallo sviluppo degli avvenimenti, passa di sconfitta in sconfitta fino alla perdita del trono; solo allora, nella solitudine della reclusione ritrova se stesso, traccia la mappa del proprio fallimento, e tocca pensieri di tutta profondità intorno all’inconsistenza dell’essere
“Chiunque io sia, né io né altro uomo che sia soltanto uomo sarà mai soddisfatto da nulla, fino a quando non sia egli stesso definitivamente sollevato dall’essere un completo nulla.”
C’è stanchezza annientamento svuotamento. E’ dissolta la tensione fra l’immagine eroica dello “status” che si fa materia di colui cui tale status è conferito, e l’uomo-Riccardo; il re è diventato nient’altro che un uomo, la corona è strappata dal capo dell’unto del Signore e il mondo non ha tremato dalle fondamenta. Riccardo cerca nello specchio - che chiede con insistenza dopo la deposizione- i segni di un cambiamento, eppure nulla è cambiato, nessuna traccia di mutamento nel viso. Dunque la corona era solo apparenza, la sua regalità solo una recita.
Il film asseconda il versante narrativo dell’opera nelle sue linee generali, ma guarda con più penetrante attenzione al dramma delle singole figure richiamate dal plot nello svolgimento essenziale, e segnatamente alla persona di Riccardo; serrata la trama all’interno della famiglia reale, vi è sviluppato per ciascun personaggio un nodo drammatico condotto fino a conclusione, portando ad arricchimento, con suggestioni di possibile dilatazione, le note consentite da Shakespeare nella scrittura originale. Volti e azioni accompagnano con accadimenti narrativi la rovina di Riccardo, nel procedere verso il luttuoso epilogo. Riccardo contro Riccardo: attitudine all’isolamento, ostinato culto di sé alimentato da parossistico narcisismo, ostinazione a fronte dei conflitti che il suo agire produce, credulità cieca nel sostegno divino ritenuto connesso di diritto alla sacralità del ruolo…
Un’aria blasfema avvolge il dramma, che è soprattutto dramma dell’uomo di fronte al divino. Riccardo ci sta dentro fino al collo, e a questa ostinazione di fede si rende tutto, fino allo stremo delle conseguenze.
Chi è veramente Riccardo?
E’ l’odioso tiranno che fa uso distorto di un potere assegnatogli fin dall’infanzia “…tu sei il padrone, non il re d’Inghilterra!” – è l’accusa di Gaunt! – e che, incurante di ogni invito alla prudenza e al rispetto della legalità manda in esilio il cugino Bolingbroke e ne confisca i beni, si appropria delle sostanze del popolo e dei nobili, travolge il paese in una guerra già persa in partenza? O, per altro verso, è il sofferente re che parla a Dio e gli affida con ingenuità quasi infantile la propria sorte, ne attende con ottusa fermezza la salvazione, riscatta nell’attesa della morte un’umanità di alto profilo?
E’ proprio in questa dicotomia la grandezza di Riccardo, e tra dissennata superficialità e elegiaca espressione d’insospettata umanità s’innestano la materia e il senso del film, fino agli ultimi arditi guizzi di vita a lui affidati dalle battute finali, perché non c’è errore che egli non paghi, perché è la perdita della vita il prezzo della sua innegabile fragilità.
 Il Film nasce da ricerca attiva nell’ambito interlinguistico, tesa fra messinscena teatrale e traslazione verso il linguaggio cinematografico. Si è trattato di un percorso di lunga durata, traduzione, approfondimenti critici, immersione in forma quasi ossessiva nel contesto della materia, splendida, che fa del Riccardo II un’opera raffinatissima, sottile, aspra perché poco aperta agli artifici convenzionali del teatro. A seguire messinscena teatrale, e successivo annullamento di quel lavoro e di quell’impianto, per ricercare in una scrittura narrativa di segno completamente diverso una narrazione strettamente cinematografica. La raffinatezza linguistica e strutturale del testo ha suggerito una sceneggiatura aperta all’immaginario e ha conferito eleganza e bellezza alle riprese. Un film di immagini seduttive e sofisticata fattura, con utilizzo di locations di pregio, individuate presso alcuni tra i più preziosi monumenti architettonici di Napoli e dintorni, e esterni suggestivi, trattati con competenza dalla fotografia di Cesare Accetta. C’è nella regista una fiera opposizione al naturalismo, con privilegio di campi narrativi astratti, concettualmente pregnanti, che premiano la consistenza della materia viva, la nettezza delle linee quindi delle forme; che aprono agli spettatori l’intimità dei pensieri colti sui volti degli attori. In questo senso il cinema è un mezzo d’indagine inquietante, penetra negli occhi, coglie segreti, non appaia retorico il dire “ruba l’anima” – se c’è, e la sintonia regista/attore lo consente-.

Laura Angiulli