TORINO FILM FESTIVAL 38 - "Il Nero" is Back to Life


Mostrato al TFF il film del 1966 di Giovanni Vento che racconta, a Napoli, di uno dei tanti figli della guerra. Prodotto da Filmgroup venne presentato alla Berlianale


TORINO FILM FESTIVAL 38 -
"Il Nero"del 1966 di Giovanni Vento recuperato al TFF
Girato nel 1966 ed uscito in anteprima al Festival di Berlino del ’67, sparito nel dimenticatoio per oltre cinquanta anni, prodotto da Filmgroup di Armando Bertuccioli, il film non è mai stato distribuito e dunque mai uscito nelle sale. Recuperato grazie alla figlia del regista Emilia Vento, che lo ha conservato negli anni, alla Compass Film ed al Museo Nazionale del Cinema di Torino, che lo ha restaurato e digitalizzato, ecco che il film rivive nella sezione Back to Life del 38TFF.

È la storia di Silvano un ragazzo napoletano, uno dei tanti “figli della Madonna” nati nel 1945 da relazioni tra soldati neri dell’esercito americano e donne italiane. In realtà, a parte il naso da pugile e i capelli ricci, Silvano non ha niente di negroide, la sua pelle è chiara e nessun altro particolare ricorda le sue origini miste. Sua mamma, come tante altre mamme incappate in questo problema di rimanere incinte durante l’occupazione, dopo la nascita lo ha affidato ai suoi genitori, per avere la possibilità di rifarsi una vita senza l’impiccio di questo figlio nero e non desiderato.

Sono infatti i nonni che hanno tirato su questi bambini mulatti nati da rapporti occasionali con afroamericani, ecco perché quindi anche lui, come tanti altri bambini scomodi, vive con la nonna, una signora della Napoli bene, che fa vivere a Silvano una vita agiata in un ricco appartamento del centro. Spensierato ed educatissimo, scorrazza con la sua lambretta nuova di pacca, veste sempre elegantemente e studia con successo, come tanti altri normalissimi ragazzi perfettamente integrati nella vita della città campana, che studiano, lavorano, suonano jazz nei locali, escono con le ragazze.

Anche i rapporti con sua madre (Regina Bianchi) sono ottimi, pur non avendo mai vissuto insieme, spesso, quasi quotidianamente, Silvano va a trovarla nella casa dove vive con il marito dentista (Andrea Cecchi) e la figlia Alessandra, sveglia e intrigante, coetanea del bel fratellastro. Tra lei e Silvano vi è una sorta di sottile complicità fatta di passeggiate in macchina, di chiacchierate, di telefonate, di confessioni, di amicizia e carezze al limite dell’incesto, un rapporto in bilico tra il vorrei ed il non posso.

Ottimo esercizio di recupero di una pellicola vintage, girato in una frizzante Napoli del boom economico. Peccato che il film non regga, la trama si perde dentro un calderone di storie che non riescono a diventare interessanti, quasi sicuramente a causa dei dialoghi senza capo né coda, con la conseguenza che i rapporti tra i personaggi rimangono sospesi nel nulla, privi di approfondimento e di pathos. Sarebbe stato bello approfondire i sentimenti che provano madre e figlio, questa anormale distanza forzata dalle regole di buona convivenza, dettate dalle norme sociali che nel dopoguerra spingevano le ragazze a partorire e immediatamente dopo ad abbandonare nelle mani dei nonni questi neonati.

Lento e con lunghissimi minuti dedicati a Silvano che cammina, “che vede gente”, che si muove in lambretta per Napoli, che fa la visita medica alla leva militare, il film è appesantito da dialoghi che ci lasciano l’idea di vuoto totale.

22/11/2020, 09:07

Silvia Amadio