Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del documentario "Di Partenti e Saltimbanchi"


Quando un giornalista che frequentavo fece quel nome, mi risvegliai d'un tratto. "Lo conosci?" domandai: l'aveva intervistato varie volte. Pensai di andare a trovarlo. Giacché detesto le intrusioni, ci facemmo annunciare con una telefonata; sua moglie fu gentile oltre ogni dire. Leggera, ci fece strada tra le ciotole e i gatti, in un giardino a terrazze cosparso di oggetti che dicevano di un tempo che scorreva in un altro tempo. Guerra sedeva a un grosso tavolo scheggiato; sfogliava una rivista. Parlammo di poesia, di cinema, di Fellini, di Zavattini... del luzarese registrammo un commosso ricordo mezzo smozzicato dal vento di Pennabilli. Nel ritornare alla macchina mi persi, e capitai davanti a un portone. Lì c'era la mostra che abbiamo documentato. Ne ricavai una emozione profonda: in un periodo per me abulico, circolare, a ridarmi l'entusiasmo erano stati due grandi artisti, due "vecchi" che, nella mia smisurata ignoranza, non conoscevo. Decisi subito di farne un documentario. Pochi giorni dopo tornammo per le riprese; gli parlammo della mia idea. Accettò. Alla fine ci salutò con grande tenerezza, dandoci alcuni consigli. Nell'andar via tornai con la mente al nostro primo incontro: non riusciva a far funzionare l’impianto stereofonico, e la cosa gli seccava, dal momento che suo figlio gli aveva inviato un CD con delle musiche di propria composizione. Inserii un selettore, e la musica si diffuse nella stanza. "Eh?" mi disse fiero, indicando l'aria. Dissi: "Bella" o qualcosa del genere, più che altro per prendere tempo. Gorgogliò una risata: "È bravissimo. Pensa che ogni volta che parliamo di musica mi ripete sempre: (in dialetto) ‘Papà, tu non capisci un cazzo…'

Vincenzo Fattorusso