Sinossi *: 17 artisti internazionali con un FaustianFactor: una forte identità artistica ed un esasperato virtuosismo che permette loro di rivaleggiare con le infinite possibilità del computer, con la precisione della resa fotografica, con le relazioni della performance.
Note:
Il Progetto
Platone usava il termine “demone” per indicare quella forza interiore che permette all’uomo di andare oltre i limiti sensibili, per raggiungere il sovrasensibile quindi Dio. Faust aveva quel demone. Un demone che lo faceva ardere dal desiderio di andare oltre i limiti delle sue umane possibilità senza accontentarsi mai.
Voleva ottenere conoscenza e potere al di là dei limiti che la natura aveva stabilito alle facoltà umane. Un’aspirazione continua ed insaziabile basata sulla convinzione che niente al mondo avrebbe potuto soddisfarlo pienamente. Una convinzione talmente forte da fargli fare un patto con il diavolo in base al quale non avrebbe mai desiderato fermare l’attimo perché allora sarebbe tornato ad essere ordinario, uguale agli altri uomini nei quali la scintilla divina di cui parla Scheler si è oramai spenta.
Goethe dedicò più di sessant’anni alla stesura del poema Faust facendolo diventare nell’immaginario collettivo il personaggio-simbolo dell’anima moderna tesa al progresso, alla visione scientifica del mondo, alla brama di conoscenza.
Di fronte alle nuove possibilità offerte dai media, alla fotografia ed alla sua capacità realistica, al video ed alla performance ed alla loro capacità relazionale sono in molti ad aver celebrato i funerali della pittura in quanto priva di caratteristiche capaci di esprimere la contemporaneità. La pittura è stata così declassata, sminuita, marginalizzata a favore di forme artistiche maggiormente “partecipative” essendo appunto la partecipazione una delle parole chiave della nostra società.
Di fronte a queste concezioni negative della pittura ci sono artisti che non si sono arresi perché forse dotati di quello streben del quale parlava Goethe, cioè di una tensione interiore che li spinge a non accontentarsi della loro condizione andando continuamente verso nuove mete, aspirando a superare ogni limite umano.
Njideka Akunyili Crosby, Glenn Brown, Maurizio Cannavacciuolo, Andrea Chiesi, Tiffany Chung, Alberto Di Fabio, Kepa Garraza, NS Harsha, Alessandro Moreschini, Mauro Pipani, Imran Qureshi, Terry Rodgers, Raqib Shaw, Li Songsong, Philippe Taaffe, Josep Tornero, Jan Worst sono artisti con un faustian factor: una forte e riconoscibile identità artistica ed un esasperato virtuosismo che permette loro di rivaleggiare con le infinite possibilità del computer, con la precisione della resa fotografica, con le reazioni e relazioni del video e della performance.
Ma attenzione non si tratta solo di un esercizio virtuoso di perizia tecnica perché questi artisti mescolano una resa estetica come pochi altri con una ricerca che spazia dalla scienza alla sociologia, dalla multiculturalità ai localismi, dalla razionalità al sentimento esprimendo così quella complessità sociale contemporanea basata sul superamento dei confini (vuoi culturali -> il multiculturalismo di Beck, Giddens e Sartori, vuoi geografici -> la globalizzazione di Bauman, Klein, Sassen, vuoi fisici -> internet e le comunità virtuali di Castells) e sul superamento dei limiti umani (virtuosismo).
In un mondo rassegnato dove il destino dell’uomo sembra essere ritornato al di fuori di quelle che sono le sue possibilità (torna l’idea del fato così dominante nel mondo classico ma così attuale nell’idea di poter risolvere i problemi vincendo al superenalotto piuttosto che investendo nel miglioramento delle proprie competenze e capacità) torna con questi artisti l’idea dell’homo faber, artefice del proprio destino quindi capace di utilizzare al meglio ciò che la natura gli ha messo a disposizione. Basta guardare le opere di questi artisti per vedere che torna anche l’idea del demiurgo che forma e trasforma la materia perché ha sia competenze tecniche come un artigiano sia idee e conoscenze come un intellettuale.