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Filmaker DOC Film Festival: report 21 NOVEMBRE 2006


Prima giornata allo Spazio Oberdan di Milano della 27. Edizione del Festival Internazionale FILMMAKER.


Filmaker DOC Film Festival: report 21 NOVEMBRE 2006
“Scerbanenco by Numbers” di Stefano Giulidori
Nella sala gremita dello Spazio Oberdan di Milano (anche se con un’ora di ritardo rispetto alla scaletta del programma,ndr) ha preso il via, ieri sera, la ventiseiesima edizione del Festival Internazionale FILMMAKER. Ricchissimo il programma, articolato in cinque sezioni: il concorso internazionale, riservato a opere incentrate sui temi del lavoro e del sociale. “Paesaggi umani”, ossia quei film che hanno ottenuto dagli sponsor del Festival un sostegno finanziario alla produzione. Una retrospettiva dedicata al regista austriaco Urlich Seidl. “Fuori formato”, una sezione non competitiva con due serate speciali dedicate a Mario Soldati, Dadamaino e una panoramica Milanometropoli. Infine, “Luoghi del femmminile”, un progetto prduttivo a cura di Train de Vie e Fermoimmagine.
Dopo la proiezione di “Casa di plastica”, un video che ripercorre l’originale esperimento di edilizia alternativa realizzato negli anni Settanta a Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia, la Sezione “Paesaggi umani” si č aperta con “Le regole del gioco” di Francesco Gatti. In 55 minuti di MiniDV, il film ha l’ambizione di introdurre lo spettatore nello strano mondo del gioco d’azzardo. Strano anche perché troppo spesso ignorato, non conosciuto. E lo fa “pedinando” con la telecamera Formaggino, un giovane scommettitore non ancora ventenne che frequenta un’agenzia ippica della periferia Nord di Milano. Insieme a lui vediamo sempre “il professore”, un amico e socio d’affari dalla dialettica scoppietante benché sgrammaticata, piů in lŕ con l’etŕ e forse per questo disilluso sulle alterne fortune delle scommesse ai cavalli. Le giornate trascorrono stancamente nella spoglia e asfittica sala dell’agenzia, le strade attorno sono spesso deserte, come deserto e primordiale ci sembra l’universo emotivo dei protagonisti. L’entusiasmo acerbo del giovane Formaggino – disposto a giocare anche pochi euro pur di tentare la sorte - si scontrerŕ ben presto con l’amarezza rassegnata del professore. Le note di regia sottolineano giustamente come “Le regole del gioco” sia anche e soprattutto un film sul denaro e sull’illusione di guadagnarlo facilmente, ma gli espedienti stilistici messi in atto da Gatti non convincono fino in fondo: Formaggino e il professore, con un azzardato esperimento di mise en abime interpretano sě se stessi, (percependo qualche manciata di euro a seconda dei minuti di ripresa concessi al regista) ma al contempo, con microfono al petto e sguardo in macchina, cercano di “mettere in scena” la loro vita di scommettitori. Se il meccanismo a tratti funziona, in prossimitŕ di certi snodi narrativi sembra invece scricchiolare, stemperando la cruda e sanguigna realtŕ che sta di fronte allo spattatore in tiepido artificio visivo.
“Scerbanenco by Numbers” di Stefano Giulidori č invece di tutt’altra pasta. A cominciare dalla robustezza tecnica messa in campo per la realizzazione di un’opera della durata di 30 minuti (un mix di MiniDV, 16mm, Super8 e 8mm, b/n e colore). Costruito come un agile ma partecipe biopic, in bilico tra realtŕ e immaginario, quello di Giulidori ci č parso un commosso e attento omaggio alla memoria del celebre e prolifico scrittore di origini ucraine, considerato uno dei padri del noir italiano. Un mosaico di generi e di tagli narrativi che suggestiona lo sguardo dello spettatore (il bianco e nero sgranato che raffigura gli angoli urbani di una Milano insieme antica e attuale, il misterico “pedinamento visivo” di una dark lady, attinta dalle pagine dei numerosi romanzi), ma non impedisce un’utile riflessione su ciň che rimane dello scrittore nella memoria di chi l’ha conosciuto e amato (attraverso le testimonianze della figlia Cecilia, dell’ultima compagna Nunzia Monanni e del critico Roberto Pirani). Ma quello che si apprezza maggiormente nell’opera di Giulidori, fatta eccezione per qualche accennata tendenza estetizzante, č il senso di compattezza vivisa, formale e di scrittura che si ricava al termine della visione. E che rimane in testa.
Ha chiuso la serata, sempre nella sezione “Paesaggi umani”, l’opera a sei mani di Julien Delvaux, Paolo Robaudi e Michele Ursi intitolata “Sulle vie moderne dell’ipnosi”, un’inchiesta sulla pratica dell’ipnosi e sulle psicoterapie che vengono attualmente applicate utilizzando questo metodo di “alterazione della coscienza”. Circondata per secoli da un alone di mistero e di leggenda, confinata spesso nelle pratiche esoteriche non degne di attenzione, l’ipnosi ci viene restituita nella sua dimensione di procedimento biologico privo di pericoli, che ciascun soggetto puň esperire. Il documentario intervalla testimonianze di pazienti che si sono sottoposti a questa pratica alle spiegazioni di medici, esperti e studiosi della materia. Interessante ma senza sussulti.

22/11/2006

Riccardo Lascialfari