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Note di regia del film Luce dei Miei Occhi


Appunti del regista Giuseppe Piccioni sul film "Luce dei Miei Occhi".


Note di regia del film Luce dei Miei Occhi
Una scena del film "Luce dei Miei Occhi"
Le storie, i personaggi
Nelle mie storie i protagonisti sono un po’ naufraghi, sempre sul punto di perdersi. Non sono dei vincenti, non riescono a far tesoro dei loro errori. Non sono soddisfatti di sé, hanno dei difetti di fabbricazione, si sentono inadeguati rispetto agli standard di efficienza e buon senso richiesti dalla vita normale. Insomma sono un po’ “fuori dal mondo”.
La loro quindi non è un’infelicità media in cui tutti si riconoscono. Fanno le scelte sbagliate, non giocano in borsa, non vogliono arrivare da nessuna parte.
Per loro l’amore è infatti una scelta sbagliata, sconveniente, antieconomica, ma è anche un sentimento che va oltre le apparenze, che li porta fuori di sé. Il loro sentirsi diversi non ha niente di ricattatorio. Non hanno certezze e cercano di aggrapparsi alla prima vera occasione di felicità che capita loro. Vogliono riempire quella distanza che li separa dalla possibilità di vivere una vita normale.
Lo sguardo di Antonio e la sua passione per la fantascienza sono il suo desiderio e insieme l’incapacità di essere davvero con gli altri, la sua solitudine. E’ un autista, un viaggiatore inutile che guarda il mondo allo stesso modo dell’eroe dei suoi romanzi preferiti: un mondo di visitatori, di uomini e donne venuti da fuori che inseguono un progetto possibile di felicità. Tutto si ripete come in un giro di giostra, ogni giorno, come si ripetono le musiche di Ludovico Einaudi. Non si va da nessuna parte, nessuna vera destinazione, né un nuovo punto di partenza, ci si sposta solo un po’ più in là…
Anche a Maria è mancato qualcosa, sente che la sua vita le è sfuggita di mano. Vorrebbe essere migliore, ma non ce la fa. Lotta contro il suo destino che è quello di sbagliare, per continuare a non amarsi, a sentirsi giudicata da tutti.
Accanto a loro altre persone, viaggiatori che hanno perso il senso del loro viaggio, autisti e clienti, tutti danno voce al loro diritto di non restare nell’ombra.
Io e gli attori, il nostro lavoro
Mi piace che nei miei personaggi ci sia sempre una sorpresa, qualcosa di non prevedibile, una loro autonomia. Per questo quando lavoro con gli attori, amo conoscerli, frequentarli, cercare qualcosa che li riguarda e che entri nel personaggio. Può essere semplicemente l’idea di un dialogo o un certo gesto.
Mi piace provare molto. A volte, il colore di una scena o il tono di una battuta, non corrispondono a un’idea di credibilità realistica. Cerco qualcos’altro: una risonanza, una semplicità e una verità: come se in quel momento l’attore non potesse usare trucchi, né barare con la recitazione, ma guardare negli occhi lo spettatore, senza maschere. In questo senso, per me, l’emozione di una scena, la sua temperatura sono più importanti della sua attendibilità.
Mi piacciono gli attori che si prendono la responsabilità di un personaggio. Ho bisogno di far sentire loro che fanno parte di un progetto e la necessità che si mettano in gioco. Mi piacciono gli attori generosi, non importa quale sia il loro metodo.
L’incontro con gli attori è il primo momento in cui cerco di fare i conti con l’improbabilità di una storia. Sono loro i primi a farmi credere che quello che sto per raccontare non è poi campato così in aria.
Amo il lavoro con gli attori, dal trucco alla pettinatura, alla scelta dei vestiti. Voglio la loro collaborazione e l’unica cosa che cerco di trasmettere è l’importanza che ha per me il destino del loro personaggio.
Quando lavoro con un attore uso tutti i metodi, a volte provo persino a proporre l’intonazione di una battuta o faccio la scena io stesso: entrambe le cose le faccio male, ma io ne ho bisogno, devo riconoscere la loro voce, gli sguardi. Altre volte il mio è semplicemente un lavoro di sorveglianza, di attenzione. L’unico cruccio è che spesso nelle prove accadono momenti e situazioni che non trovano poi spazio nel film. Mi consola il fatto che di tutto questo ci sia una memoria visiva: per questo faccio delle riprese con una telecamera digitale che uso anche durante le prove come appunti per le scene.
Sandra Ceccarelli e Luigi Lo Cascio li ho scelti attraverso dei provini, ma avevo già una forte curiosità nei loro confronti, un desiderio che questi provini andassero a buon fine. Li ho conosciuti grazie a due film di cui erano protagonisti: Tre storie di P. Gay e R. Sampietro - per quello che riguarda Sandra - e naturalmente I cento passi per Luigi.
Con Silvio avevo già lavorato. Il suo personaggio era a rischio, ma sapevo che avrebbe trovato il suo modo per renderlo non banale. Insomma… Silvio è uno di cui ti puoi fidare, sai che nelle sue mani il personaggio può soltanto crescere.
I collaboratori
I miei collaboratori sono fondamentali. Ho bisogno di tutti. Voglio che mi stiano intorno, che sopportino le mie incertezze. Ho bisogno dei loro pareri, anche di quelli che non riguardano strettamente le loro competenze. Non saprei come fare senza di loro.
Non saprei come fare senza Esmeralda Calabria. Non solo per il montaggio. La coinvolgo e l’ascolto fin dai primi momenti in cui comincio a mettere in piedi l’idea di una storia. Insomma, mi piace che gli altri sentano che quello che stanno facendo è anche il loro film.
Sono geloso. Sono terribilmente geloso degli attori e dei miei collaboratori. Mi sgomenta l’idea che alla fine delle riprese si buttino in altri progetti e che io rimanga da solo con il mio film da completare.
Gioie e dolori…
Molte persone sono sorprese dal clima positivo che si respira durante la lavorazione di un mio film. Credo di dover condividere questo merito con Lionello Cerri, il produttore. Gli piace essere parte del gruppo, avere rapporti personali con tutti i membri della troupe… Insomma, niente a che vedere con il “classico” produttore che è semplicemente una controparte o che è addirittura nemico del film che sta facendo.
So anche che non è sempre così gradevole lavorare con me. A volte sono permaloso, diffidente, sento che chiunque o qualsiasi cosa possono danneggiare il mio film. Spesso faccio pesare sui miei collaboratori le mie scontentezze e le mie delusioni. Qualche volta non è facile starmi vicino e sopportarmi. Anche per questo li ringrazio tutti, di cuore.
La fantascienza
Quando sei molto giovane la passione per i libri nasce spesso nei momenti di solitudine forzata, a meno che non si sia cresciuti in una casa ricca di libri. Il mio periodo più intenso di lettura è stato durante una lunga convalescenza… è stato più facile cominciare a leggere partendo da Dracula di Bram Stoker piuttosto che da I Promessi sposi!
Per un periodo, da ragazzo sono stato un appassionato spettatore di film di serie B, che comprendevano vari generi tra cui la fantascienza o i film sui vampiri, quelli della Hammer. Forse si trattava di un vezzo, di una civetteria intellettuale, di un modo per distinguersi. Poi è arrivato il cinema indipendente americano, la scoperta di Truffaut e le cose sono cambiate.
Ho comunque avuto spesso la sensazione che in un buon film di fantascienza possano esserci una preoccupazione e un’attenzione verso gli esseri umani e il loro destino maggiori rispetto ad altri che dichiarano esplicitamente queste intenzioni. Per questo mi piaceva che Antonio avesse questa passione e che questa passione caratterizzasse il suo sguardo sul mondo.
Fare film…
Non mi sono mai sentito un regista professionista, uno che fa proprio quel mestiere.
Penso che prima di tutto un regista debba avere qualcosa da dire, uno sguardo, una sua idea del mondo. Per fare questo ho bisogno di raccontare una storia. Mi piace però nascondere nel racconto la mia sensibilità, il mio punto di vista.
Credo che l’esito di un film sia dato dal minor numero di rimpianti che puoi avere alla fine: le scelte che hai fatto, la capacità di accogliere i buoni consigli e i suggerimenti,ma anche di riconoscere quelli sbagliati e metterli da parte.
Un buon film è quello che ti accompagna anche all’uscita da una sala. Senti che hai portato a casa qualcosa: la prova di un attore, un volto, un’immagine o qualche parola che ti ha trafitto il cuore. Le parole. Ho una passione particolare per i dialoghi, mi piace scriverli. Quando andavo al cinema spesso riscrivevo su un quaderno alcune battute che mi avevano colpito. Per questo mi piacciono anche le canzonette, per le parole e le verità che dicono in modo semplice, diretto, senza darsi importanza.

Giuseppe Piccioni