Note di regia del film "Il Giorno del Falco"
Il film è un omaggio ad una terra complessa, compromessa e ricca.
Un dono realizzato da un nativo, un indigeno, da uno che si può permettere un atteggiamento critico e non riservato nel raccontare una "banale vicenda di cronaca nera". Questo "qualcuno" siamo io ed il protagonista del film.
Il Veneto, tanto decantato da alcuni per la sua "integrale naturalezza", lo si può percorrere a partire dal mare fino a raggiungere le Dolomiti camminando sui tetti di capannoni e capannoncini industriali, a volte saltando sui tetti variegati e polimaterici delle "case dei geometri". Si può attraversarlo così da Sottomarina, dove si ammassano i bagnanti in agosto, fino alle piazze dei paesi della pedemontana rimodernate di recente a foggia di luna park inamovibile.
Solo qui, in questa strana terra padana, è possibile piantare degli alberi d'acciaio nella piazza del paese affinché non lascino cadere foglia, non sporchino. Solo qui due balordi come Lucio e Michele possono farsi ammazzare come cani da una poliziotta, Benedetta, dalla mente lucida e le idee chiare, che potrebbe benissimo essere una loro sorella, o "morosa", che non frequenta il bar.
Il giornalista tenta di approfondire la vicenda ma non approda a nulla di concreto. Forse quei due balordi, quei due amici, inconsapevolmente, volevano interrompere lo spesso grigiore anonimo che nasce nella pianura e si trasferisce, giorno per giorno, nel cuore dei suoi abitanti.
Lì a sud di Vienna, tra Padova e Treviso, tra Venezia e Vicenza, dove non succede niente. Le mie motivazioni artistiche sono quelle di raccontare una storia quotidiana. Le Banche del Nordest subiscono in media di una rapina al giorno, banale, piena di luoghi comuni, in un posto che somiglia sempre più ad un'astronave, e con degli abitanti che somigliano sempre più a degli alieni.
Qui il kitch regna sovrano e in contrasto tra le maioliche e i campanili rimodernati a foggia di missili Cruise. Qui, nella parlata cantata che ha memorie goldoniane e ruzantiane, il nostro giornalista (il regista) tenta uno scavo sentimentale, approfittando di una ferita recente, la rapina, in un teatro naturale, "dell’assurdo".
Il film vuol essere una frammentazione che produce disorientamento. A scandire ineluttabilmente il tempo sono le due stagioni superstiti: l'inverno cieco della rapina e la calda estate della pacificazione. E' un trash da case popolari e da ville principesche che sembrano mausolei; è un'assurdità.
Il film nasce come esigenza di restituire nel modo più credibile ciò che è incredibile. Per questo è necessario uno spostamento drammaturgico che non è caos gratuito, ma una modalità operativa per mostrare le immagini attraverso lo specchio infranto della memoria, la costruzione della forma esterna, dell’involucro poliedrico.
Rodolfo Bisatti