Intervista al regista Francesco Amato
sul film "Ma che ci Faccio Qui!"
Ci può parlare del suo film "Ma che ci Faccio Qui!"?
Francesco Amato: Il soggetto di "
Ma che ci Faccio Qui!" mi è stato proposto da Andrea Agnello, mio compagno del corso di sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia. La scuola aveva progettato di realizzare uno o più lungometraggi assieme a RAI Cinema e Istituto Luce, scritti e diretti da ragazzi del Centro, come film di diploma. E’ stato scelto appunto questo soggetto e tutto ha avuto la sua origine. L’aspetto inedito di questo film è proprio il fatto che sia stato interamente realizzato, dalla progettazione al montaggio, dai ragazzi del Centro Sperimentale, da studenti non professionisti. E’ un film che conserva quindi, con una sua evidenza anche a livello narrativo, una grande gioia da parte di chi lo stava facendo, quel grande entusiasmo che ci ha poi permesso di finirlo.
Ha dichiarato che la motivazione che l'ha spinta a realizzare il film "Ma che ci Faccio Qui!" è stata quella "di raccontare qualcosa che mi apparteneva". Ci può spiegare meglio?
Francesco Amato: Il film, giá dal soggetto, aveva due identitá: dal punto di vista della struttura del racconto è un finto-road-movie, nel senso che usa tutti i tratti distintivi del genere per negarlo. Un road-movie statico. Un viaggio soltanto desiderato: al viaggio fisico si sostituisce un viaggio di conoscenza, umana, sentimentale, civile. Dal punto di vista dei contenuti invece "
Ma che ci Faccio Qui!" è la storia di un ragazzo che acquisisce delle consapevolezze sulla vita passando attraverso una serie di fallimenti che durano un’estate. La crescita di un ragazzo attraverso la "sfiga". Questo è anche il vero motivo autobiografico della storia. Chi non ha avuto a che fare con la carenza di denaro, di affetto, con il mondo che ti rotola addosso tutte le disgrazie possibili immaginabili quando invece ti immaginavi un’estate da protagonista?
Come ha scelto il cast del film ed in particolare Daniele De Angelis per la parte del protagonista?
Francesco Amato: Il casting è stato un momento molto importante perchè dall’incontro con tanti giovani aspiranti “Alessio e Martina”, ho capito che cosa stavo raccontando, e soprattutto i sogni e le inquietudini di una generazione, che mi sono accorto essere davvero diversa dalla mia anche se ci dividono solo dieci anni. Avrò visto circa 200 ragazzi per il ruolo di Alessio, ma Daniele ha messo subito d’accordo tutti, me e i produttori del film. E’ stato davvero un momento straordinario, perchè dopo mesi di ricerca io mi stavo preoccupando che il ragazzo giusto per quel ruolo sarebbe potuto non arrivare mai. D’altra parte scegliere il protagonista è forse la scelta più importante che un regista debba fare prima di cominciare a girare. Perchè in quel momento un regista dá una fisionomia forte al suo film, escludendo tutte le altre fisionomie possibili. La dimensione del possibile si riduce ad una dimensione di concretezza, e il treno del tuo film prende un binario da cui non si torna più indietro. Comincia ad esistere, ora ha una propria identitá. E’ un’esperienza bella ed inquietante allo stesso tempo.
Che caratteristiche ha voluto delineare nei personaggi principali del film?
Francesco Amato: Ogni personaggio ha la propria personalitá e i propri traguardi specifici da raggiungere, anche se per tutti i personaggi, in particolare per i giovani, il tema comune è quello dell’emancipazione. A livello individuale, direi che il film funziona perchè racconta lo scontro di due caratteri: Alessio è espansivo e ottimista, Martina è scontrosa e pessimista. Alessio ha bisogno di stare in un gruppo, Martina vuole star sola. Alla fine Alessio la porta dalla sua parte. In ogni caso, chi dá l’impronta più significativa al film è proprio il protagonista. Il film risulta fresco e ottimista, spensierato e carico di energia come Alessio.
Credo che oltre al personaggio di Alessio, la migliore interpretazione del film sia quella di Chiara Nicola nella parte di Martina. Come ha creato questo personaggio, che ritengo quello più difficile, ma allo stesso tempo più completo ed a tratti dolce della storia?
Francesco Amato: Martina è il personaggio di maggior spessore. Ce l’avevo molto chiaro in testa, si può dire che lo inseguissi da anni. Incontrare Chiara è stato un momento decisivo per questo film, una svolta fondamentale. Ho avuto la fortuna di incontrarla piuttosto presto, e questo mi ha permesso di preparare molto bene l’attrice. Abbiamo lavorato su temi anche molto intimi mettendo in relazione la sua vita con quella del personaggio e andando a cercare risposte sulle domande del personaggio nel passato dell’attrice.
Che momento rappresenta per lei l'estate nella formazione di un ragazzo come nel caso del protagonista di "Ma che ci Faccio Qui!" Alessio?
Francesco Amato: Alessio vive un’estate molto particolare, la sua fortuna è che gli va storto e lui non riesce a scappare dal Serenella. Ma c’è un momento in cui lui stesso decide di restare, anzi addirittura di tornare. Quando capisce che lo stabilimento è in pericolo e sull’orlo della demolizione. A modo suo Alessio decide di tentare di risolvere la situazione che vede coinvolti i suoi amici-nemici. Questo, più delle altre vicende, fa di lui un ragazzo coraggioso e lo restituisce alla vita cambiato in meglio, cresciuto.
Che legame c'è tra il film ed il libro "Che ci Faccio Qui?" Bruce Catwin, citato in una scena della sua pellicola?
Francesco Amato: Chatwin è uno scrittore culto della mia generazione e abbiamo immaginato che potesse essere una delle letture di riferimento di Alessio, al quale, come Chatwin, nella vita interessa soltanto viaggiare. "
Che ci Faccio Qui?" è un libro di situazioni e racconti in cui Chatwin mostra il suo mondo, À una sorta di archivio esperienziale di viaggio estremo. Il libro giusto per Alessio. E poi il titolo ci incuriosiva molto, era adatto per l’esperienza del protagonista, che trovando si sempre nel posto sbagliato, finisce per farsi in continuazione questa domanda.
Il film ha riscosso buoni elogi dalla critica ed ha vinto diversi premi nei festival ai quali ha preso parte. Come mai al botteghino non è andato tantissimo bene?
Francesco Amato: Ci sono molti fattori che determinano il successo di un film in sala. Prima di tutto la qualitá del prodotto, e poi il lancio del film. "
Ma che ci Faccio Qui!" è andato al cinema perchè è un bel film. Uscire al cinema era il nostro obiettivo, sinceramente non ci eravamo fatti aspettative sui riscontri di pubblico. Il nostro è un film che è partito come una produzione molto piccola, ma piano piano è cresciuta di valore, si è guadagnata attenzione e consensi. Siamo usciti in 35 copie il primo fine settimana che per un’opera prima non è affatto male. Detto questo, non si può negare che il film poteva fare un incasso maggiore. Il problema è Culturale e Politico. Dal punto di vista culturale il pubblico è profondamente inaridito dalla volgaritá dello spettacolo televisivo, e ha difficoltá a partecipare dello spettacolo cinematografico, che qualitativamente è superiore ma richiede allo spettatore un’adesione intellettuale maggiore. Così si spiega la carenza di pubblico al cinema, in generale. Riguardo al mio film l’assenza di trailer in tv certamente non ci ha favorito, perchè la tv appunto, è ancora lo strumento di promozione più importante. Dal punto di vista politico inoltre, le dinamiche distributive sono davvero allucinanti. L’unico fattore che paga davvero in Italia oggi, e paga subito, la prima settimana di programmazione, è lo star-system. Se hai attori affermati e riconoscibili fai incasso il primo fine settimana, e vai avanti. Se invece non hai attori di richiamo il primo fine settimana di solito è un disastro. Ci sarebbe bisogno quindi di un secondo fine settimana, in modo che la gente possa venire a conoscenza del film, e magari venire a sapere che il film è bello. Ma quando questo accade, se accade, ormai è troppo tardi, perchè il film ha avuto dati negativi, la media-copia è bassa e quasi tutti i cinema l’hanno giá smontato. Il problema della distribuzione italiana è questo: nessuno è disposto ad aspettare che un piccolo film possa crescere.
Come considera il panorama cinematografico italiano attuale?
Francesco Amato: Credo che sia buono, che sia in crescita. Sia dal punto di vista industriale che artistico. Ci sono stati ottimi incassi, non si può certo negarlo. Come ci sono stati degli ottimi film. Nonostante la nostra cinematografia abbia un sacco di acerrimi e volgarissimi nemici, Crialese, Luchetti, Rossi Stuart, Olmi, Muccino hanno realizzato nell’ultimo anno dei film strepitosi. Film che hanno ricevuto consensi anche a livello internazionale. Certo c’è da parte di tutti una certa inquietudine di fondo. Come un’ansia inespressa. La veritá è che in Italia non siamo capaci di fare dei film disillusione, di rifiuto. Sappiamo fare solo film di speranza, film che offrono allo spettatore un’adesione positiva. Non sappiamo fare film che richiedano allo spettatore un’adesione legata al rifiuto di ciè che sta vedendo, che è un’altra forma di emozione, ma che la nostra cinematografia non accetta più di esercitare. Eppure “i mostri” li abbiamo inventati noi, come anche i film di denuncia, con Elio Petri, e Francesco Rosi. Risi e Rosi, dove siete finiti? Io sento molto la mancanza di questo cinema. Purtroppo credo che il nostro paese sia vittima di una grande inconsapevole autocensura di sistema radicata nel nostro spirito, molto difficile da sopprimere.
Come crede si possa migliorare la distribuzione delle pellicole italiane in sala?
Francesco Amato: Secondo me è molto importante fare in modo che il distributore del film sia inserito nel progetto prima di cominciare a girare, sulla base della qualitá del copione. Che sia anche co-produttore insomma. Questo cautela un po’ l’autore sul futuro del film stesso. Anche se, come dicevo, se il film poi esce brutto il distributore-co-produttore, nel nostro sistema cinematografico intasato di film (americani), non può far altro che sacrificarlo con un’uscita povera.
Nel mio caso io avevo l’Istituto Luce che partecipava alla produzione del film, quindi diventava automatico che poi l’avrebbe anche distribuito. In Italia oggi la domanda che si fa chi vuole fare cinema è: Come faccio a fare il film? Invece bisognerebbe chiedersi, Come faccio per fare in modo che il mio film sia visto? Se si riesce a dare risposta a questa seconda domanda spesso si risolve anche il primo quesito, cioè si trovano i soldi per farlo. Perchè il film diventa necessario per tutti, per la societá, piuttosto che solo per sè stessi.
03/07/2007
Simone Pinchiorri