Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Note di regia di "Okùnhiràn Emergency in Cambogia"


Note di regia di
Una scena di "Okùnhiràn"
Insieme ai primi bagliori delle bombe sganciate su uno dei molti paesi stravolti dalla guerra si accendono i riflettori potenti dei media e si puntano sulla tragedia di turno. Quasi mai raccontandola per ciò che è, ma riducendola a cartine geografiche con bandierine, a talk show tra "esperti", politici vaghi e giornalisti embedded. L'orrore si trasforma in "opinione", e un' opinione vale l'altra.
Prontamente, come si sono accesi, i riflettori si spengono o rivolgono il loro fascio di luce sulla guerra più nuova, quella del momento, come a seguire una moda.
Ed ecco che dall'Afghanistan si spostano all'Iraq e poi al Libano. Non importa se in Afghanistan la guerra continua a mietere vittime o se l'Iraq si è trasformato in un enorme mattatoio.
Così c'è una drammatica verità che rimane sempre in ombra, quella che le guerre, una volta avviate, non finiscono mai, ma durano caparbie per intere generazioni.
La guerra in Cambogia è "finita" da più di sedici anni, ma non lo è per le centinaia di cambogiani che continuano a essere dilaniati dalle mine che infestano la loro terra.
Non lo è per la grande maggioranza della popolazione condannata dallo sviluppo feroce e privo di regole scaturito dalla guerra, ad una miseria senza speranza, spesso altrettanto letale delle mine.
Attraverso piccole storie comuni come quella di Pek, il raccoglitore di frutta che riesce a ritrovare un sorriso per la sua bambina nonostante una mina gli abbia strappato una gamba pochi giorni prima; o quella di Souk, la bambina che invece il sorriso lo ha perso, se mai lo ha avuto, rubato dalla violenza delle miseria.
Questo reportage vuole raccontare di un "dopoguerra" che non c'è. Perché è ancora guerra.
E vuole raccontare anche di chi, come i medici, gli infermieri, il personale di Emergency ha fatto di questa triste consapevolezza un motivo di impegno e di lavoro quotidiano per ritessere un tessuto di speranza anche dove è o sembra irreparabilmente lacerato.

Vauro