Note di regia del film "Signorina Effe"
Di operai si parla sempre meno. Via via che si dismettono le grandi fabbriche, si smantellano i quartieri dormitorio, l’universo del lavoro non si racconta più. Ha perso di smalto e di spettacolarità. Un computer non ha lo stesso fascino dell’officina, l’enormità di un reparto metalmeccanico non ha lo stesso impatto emotivo di un capannone dove s’imballano cadaveri di polli nella plastica.
Oggi è la vita fuori dalla fabbrica che parla e nel cinema è più protagonista il disoccupato che il lavoratore.
Eppure l’uomo che lavora alla macchina è corpo di cinema, officina di cultura e di linguaggi.
Il 1980 segna la fine del fordismo e del movimento operaio, sconfitto da quei quarantamila quadri e impiegati che per la prima volta s’impadroniscono della piazza. Emma è una di loro, impiegata modello che perde la testa per l’operaio Sergio che odia chi lo vuole merce scaduta e non comprende una ristrutturazione di carattere epocale che cancella il suo ruolo politico. Disegnare il carattere di Emma è stata una sfida per Valeria, attrice fresca e intelligente e per me, un confronto da donna a donna che ha tratteggiato i contorni di un personaggio fuori dagli schemi.
Raccontare una donna a tutto tondo era un’urgenza sentita da sempre, puntare sul fascino di un’identità contraddittoria e autentica, mettere in scena il desiderio di vivere la passione senza indecisioni e di affrontare le conseguenze fino alla sconfitta finale.
L’amore di Emma finisce quando gli operai perdono, quando i loro rappresentanti siglano l’accordo, quando si chiude la stagione della cultura politica operaia, del movimento più significativo della storia del Novecento. Due passioni, una privata, l’altra collettiva, consumate nell’arco di 35 giorni.
Wilma Labate