Note di regia del documentario "A Sud di Pavese"
Un anniversario ha il sapore di una presenza, è una ricorrenza che riporta qualcosa ad un punto d’inizio. Sono passati cento anni e cento ne avrebbe Cesare se non ci fosse stato quell’agosto del ‘50. Certo i libri non se ne vanno e di Pavese rimangono le sue parole e poi tutti i commenti e i “pettegolezzi” che non voleva nascessero. Cosa possiamo fare dunque oggi con quella letteratura, cosa rimane della sua eredità? Nel 2000 feci una ricerca in Langa, lessi tutte le poesie di Pavese e poi me ne andai per le campagne con un fotografo. Non serviva avere memoria attiva dei rimandi alle letture, i nostri occhi sembravano più bravi di noi a ricordare, a selezionare, a scavare veloci fino a trovare un punto di contatto tra poesia e realtà, tra Pavese e la Langa adesso. Ne venne fuori “Filari di vite”, un breve lavoro frutto di setaccio, una collezione di volti e voci di quei contadini che sembravano impastati di terra e vino, che avevamo filmato con l’idea tutta pavesiana di “raccontare l’uomo come si racconta un paesaggio”. Quell’anno erano 50 anni dalla morte del poeta e non ci fu, per quanto mi riguarda, miglior modo per ricordarlo. Ritorniamo quindi a cercare le nostre storie là dove Pavese ha trovato le sue, come se ci avvicinassimo ad una sorgente ancora attiva. Certo ogni cosa è mutata ma se troviamo la direzione, la lente, forse potremmo vedere meglio perché non vedremmo da soli.
Matteo Bellizzi