Note di regia del film "Jimmy della Collina"
Una sera durante le riprese con alcuni della mia troupe, dopo una giornata di lavoro, siamo entrati in uno dei bracci del carcere minorile di Quartucciu per fare un sopralluogo. Cercavano uno spazio per una delle scene più importanti del film. All’uscita ho sentito gli occhi di uno dei ragazzi che mi guardavano da dietro le sbarre di una piccola cella, era uno slavo dallo sguardo malinconico. Quello sguardo mi ha seguito fino alla chiusura dei cancelli dietro di noi. Uscivamo. Potevamo andare oltre quel confine di ferro che invece per lui era invalicabile. Era una notte fredda, gelida, di quelle in cui il maestrale atraversa il Campidano, la pianura intorno a Cagliari, e fa un suono che assomiglia a un lamento a un urlo trattenuto. Quella sera ho capito perché ho voluto fare questo film, perché ho voluto raccontare questa storia. La risposta misteriosa era in quegli occhi, in quello sguardo, che mi chiedevano aiuto. Il cinema ha il compito di raccontare realtà che altrimenti non si conoscerebbero. Il cinema più di ogni altra cosa ha questa forza, questa potenza. Ci sono mondi lontani, pianeti sconosciuti, anche vicino a casa nostra. Il carcere, una comunità di recupero per i giovani carcerati, l’idea che la pena non sia una pietra tombale sulla vita di chi sbaglia, ma un passaggio esistenziale che può aiutare anche a cambiare vita. Ho immaginato all’ingresso della Comunità “la Collina”, dove da tanto tempo Ettore Cannavera aiuta i giovani carcerati a “ritrovarsi”, una grande scritta: “conosci te stesso”. Frequentare questi luoghi, confrontarmi con il dolore, ha aiutato anche me che ero partito dalla suggestione letteraria dal romanzo di Massimo Carlotto ignaro di quello che mi aspettava oltre il confine fra la vita e il carcere. Il romanzo di Massimo mi aveva affascinato per la qualità della scrittura, per il ritmo del racconto perché ha messo dentro un piccolo romanzo l’esperienza del vero Don Ettore e della sua Comunità, e ha saputo raccontare le ansie di un adolescente, colto in un passaggio fondamentale della sua vita.
Carlotto, che conosce quella realtà per averla vissuta, ha racchiuso in Jimmy la sintesi di tante storie vere, e ha aiutato me e la mia sceneggiatrice Antonia Iaccarino, la cui impronta sul film è stata molto importante, ad affrontare un racconto che ha dentro elementi che rimandano alla durezza di certe vite, alla fascinazione per il crimine che ha Jimmy, come certi personaggi di Marcel Carné, ma anche, ci ha rivelato, la poesia dei luoghi, come le dolci colline di Serdiana che lasciano un segno poetico sul nostro film. Rimangono i ricordi, meglio, la memoria, di un mese e mezzo di lavoro che per me, la mia troupe tecnica e gli attori professionisti, è stata soprattutto un’avventura sentimentale che ha cambiato un po’ la nostra vita rendendola spero migliore. Dentro di noi portiamo il ricordo di quei ragazzi che hanno lasciato dentro il film la loro anima, hanno capito che “
Jimmy della Collina” era un modo per lanciare un grido d’attenzione verso il loro mondo, verso l’esterno. Perfetti a mio parere nell’essere se stessi, nel raccontarci la loro vita quotidiana con un equilibrio che per essere riprodotto da un attore avrebbe bisogno di un percorso lunghissimo e tortuoso. E’ la vita che incontra il cinema ciò che nasce è il solito vecchio caro, misterioso atto d’amore.
Enrico Pau