Note di regia del film "Mar Nero"
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Mar Nero" è legato a fatti della mia biografia: Gemma è mia nonna e Angela è stata la sua “badante”.
L’anima e i personaggi di questa storia li devo a loro. Ci sono i loro caratteri, le loro emozioni, le loro tensioni. Tutto il loro rapporto.
Quando andavo a trovarle, non c’era volta che non si raccontassero. Ognuna di se stessa e della propria vita; ciascuna dell’altra e viceversa.
Nell’arco di pochi mesi, la loro complicità abbracciava anche me, sempre più coinvolto (non avevo mai visto mia nonna così felice!).
Le mie frequentazioni divennero sempre più assidue. Quando tornavo a casa, prendevo note e appunti cercando di ricordare il più possibile, nel tentativo di riordinare una materia umana di straordinaria ricchezza.
Un giorno decisi di portare una telecamera, ma non la tirai fuori. A ragione, non ne avrebbero compreso l’utilità, e forse da quel momento non sarebbero state più “loro”. Sarebbe scomparsa di colpo quella spontaneità, quell’emotività diretta che rendeva magico (“magia del naturale”!) il loro approccio.
Non potevo rischiare che svanisse, né volevo mancare loro di rispetto. E poi di quel materiale filmato che ne avrei fatto?
Era già imprevedibile ed eccezionale quello che stava accadendo: inconsapevolmente mi stavano trasmettendo il loro punto di vista, e io di lì a poco sarei stato in grado di maturare una storia.
Oggi mia nonna non c’è più e Angela lavora presso un’altra anziana.
Nel frattempo, dalla prima versione del soggetto all’ultima stesura della sceneggiatura, ho cercato di sviluppare un distacco senza il quale non avrei mai saputo affrontare un percorso che richiede ordine e controllo. Credo di esserci riuscito, anche grazie al prezioso apporto di Ugo Chiti, pur rimanendo saldo ad un’esigenza molto personale.
Sono convinto che il modo in cui si gira un film dipenda dal motivo per cui lo si fa.
Il set di "
Mar Nero" è stato il riflesso di questa idea: abbiamo cercato di non stravolgere la dimensione privata, il tono “intimo” di questa storia. Ciò che più mi premeva era restituire Gemma e Angela nella loro autenticità.
Ho cercato di adottare una forma essenziale, limpida, asciutta, priva di artifici e compiacimenti stilistici, tutta tesa in direzione degli attori e dell’essenza drammatica della scena.
A tal fine, la tecnologia digitale, un medium poco invadente e versatile che permette un approccio naturale e immediato alla materia del racconto, si è rivelato lo strumento più adeguato, col quale, in assenza della pesante e rigida macchina del cinema tradizionale, ho potuto continuare a guardare con discrezione, “prendendo appunti” senza frenare il flusso delle emozioni.
Anche per questo ho utilizzato spesso lunghi piani sequenza per dilatare il tempo della recitazione, fornendo alle interpreti una libertà che le ha sottratte dalla condanna delle interruzioni, del controcampo, delle luci, etc.
La stessa opportunità di girare più materiale si traduce in una sorta di ininterrotta presa diretta della realtà, che, più che registrare una messa in scena, tende ad accogliere quanto viene via via manifestandosi.
Ho scelto le protagoniste di questa storia in linea con questa esigenza, cercando una verginità dello sguardo e delle intenzioni, tentennamenti e imbarazzi come “effetti di reale”, volti che esprimano il dettaglio, l’intensità, la sofferenza della vita reale.
Come nella storia, così sul set un’anziana signora fiorentina e una giovane romena, appena giunta in Italia, si sono incontrate per la prima volta.
Ilaria Occhini è stata la nostra Gemma. Signora del teatro italiano con Visconti, Gassman e Ronconi, Ilaria mi ha convinto soprattutto perché è una “fiorentina doc” e non solo è tra le poche ex-bellissime degli anni ’60 naturalmente invecchiata ma ha anche accettato con lucidità ed entusiasmo di mettersi in gioco. Davanti alla camera dimostra una straordinaria naturalezza, non solo per il talento di grande attrice, ma anche grazie alla mancanza di freni inibitori, tipica della vecchiaia.
Angela è stata interpretata da Dorotheea Petre, giovane astro nascente della cinematografia rumena che è giunta per la prima volta in Italia, senza parlare la nostra lingua. Da qui un senso di spaesamento, accentuato dalla diversità linguistica, che le ha permesso di aderire perfettamente alla mia idea di “Angela”.
Entrambe hanno sentito sulla propria pelle le storie dei personaggi che hanno incarnato, hanno arricchito i loro personaggi di una verità personale, concedendosi al film, nel suo stesso farsi.
Con il contributo fondamentale del direttore della fotografia e operatore Luigi Martinucci ho voluto che la camera mantenesse un atteggiamento più rispettoso possibile dell’ambiguità del reale, prima di tutto sposando la prospettiva di Angela e Gemma: due sguardi diversi eppure così somiglianti e vicini tra loro.
Vedere la nostra società con gli occhi di chi vi sopravvive ai margini, come gli anziani e gli stranieri, smuove degli interrogativi, insinua dubbi, ci mette in una posizione scomoda.
Spero che questo film aiuti il pubblico ad operare un piccolo cambio di prospettiva sulla realtà che ci circonda.
Federico Bondi