Note di regia del film "Stare Fuori"
L’ispirazione di "
Stare Fuori" nasce da una storia vera. Una lettera a un giornale scritta da un ragazzo disperato che dava il suo addio al mondo, che mi è capitato di leggere molti anni fa. Poi la vita mi ha portato a osservare da vicino certe situazioni analoghe che mi hanno dato la chiave di lettura appropriata per poter essere finalmente in grado di raccontare questa storia.
"
Stare Fuori" è la storia di due ossessioni che si incontrano. In questo senso mi è sembrato che il melodramma, genere narrativo italiano per eccellenza ma abbandonato ormai da tempo, offrisse quella possibilità di teatralità e stilizzazione necessaria per portare questa storia familiare ad un livello più universale e al tempo stesso riconoscibile in quanto metafora, la realtà che si fa segno, simbolo. Le discendenze di "
Stare Fuori" vengono soprattutto da altrove: dai melodrammi hollywoodiani di Douglas Sirk, dove i colori e gli ambienti esprimono gli stati mentali dei personaggi piuttosto che i luoghi in cui si muovono; dal concetto tutto francese di amour fou; le passioni più estreme di Almodovar e Fassbinder e specialmente, ovviamente, il Vertigo di Hitchcock, il saggio più lucido, impressionante e doloroso che sia mai stato fatto su un'ossessione (amorosa).
Attraverso i colpi di scena e i momenti forti che scandiscono questo tragico racconto e che coinvolgono a tal punto i suoi protagonisti tanto da renderli indifferenti ai tragici bollettini dei telegiornali che spesso si sentono in sottofondo, ho cercato anche di suggerire un’allegoria del malessere che pervade parte della società italiana contemporanea, vittima di una sorta di psicosi di massa che la porta ad ignorare la realtà che la circonda, le vere problematiche del nostro vissuto sociale, per vivere in una specie di delirio collettivo in cui i veri problemi vengono ignorati e l’attenzione spostata su finti problemi inutili, specchietti per le allodole, senza possibilità d’uscita. La perdita di capacità critica, di coscienza di sé e della realtà, fanno sì che anche quando saranno messi di fronte alla realtà, i protagonisti di questa storia sceglieranno comunque di continuare a vivere il loro delirio autodistruttivo piuttosto che accettare la realtà che li circonda.
Figurativamente, la fotografia ha come ispirazione, oltre alle matrici prettamente cinematografiche già citate, anche lo stile pittorico di due massimi artisti moderni, Gustav Munch ed Edward Hopper. La pittura di Munch soprattutto è importante in quanto espressione implacabile del disagio mentale dell'uomo moderno che riflette perfettamente la chiave psicologica del protagonista di questa storia. I quadri di Munch mettono in scena l'angoscia, la depressione, la paranoia, il malessere psicologico che scolora sinuosamente la visione del mondo reale in un incubo angoscioso e proprio per questo sono stati una fonte di ispirazione, un importante riferimento visuale per la fattura di questo film.
Ho sempre creduto fermamente alla natura democratica del mezzo cinematografico e in questo senso è importante riconoscere l’enorme contributo artistico non solo del cast, che ha dato carne e cuore e vita ai personaggi del film - dalla travolgente espressività dell’Anna Magnani della Sicilia, Guia Jelo, alla intensa umanità dell’immenso e troppo poco apprezzato dal nostro cinema Federico Pacifici fino alla toccante disponibilità e fiducia con cui il giovane Ivo Micioni si è immerso negli angoli più oscuri del protagonista – ma anche all’entusiasmo con cui tutta la troupe si è regalata a questo film dal budget molto basso, alle musiche di Giordano Corapi che mettono a nudo le emozioni dei personaggi, al montaggio scalpitante di Francesco Biscuso, alla fotografia piena di verità ed immediatezza di Ben Minot, alle scene e ai costumi carichi di vissuto e mai banali di Ettore Guerrieri e Francesca Sciuga, all’equipe di Mirco Mencacci che ha fatto molto per rendere il suono quell’elemento narrativo che sempre dovrebbe essere, ai membri dell’Actor’s Center di Roma, un’officina artistica in cui attori e autori si incontrano per realizzare insieme progetti teatrali e cinematografici - un’importante e unica realtà romana la cui collaborazione artistica ha permesso alla sceneggiatura e a me stesso di crescere ben oltre le aspettative. E’ grazie ad ognuno di loro se Stare Fuori è diventato quello che è oggi e non solo una lettera ad un giornale andata persa.
Fabiomassimo Lozzi04/12/2008, 08:00