Note di regia del film "Diari"
Due anni fa, all’incirca in questo stesso periodo, mi accingevo a iniziare il Progetto Diari: un lungo percorso di indagine sul mondo giovanile che attraverso interviste, seminari di cinema e laboratori di recitazione mi avrebbe condotto a realizzare il mio primo lungometraggio.
Al di la di tutti i buoni propositi, più di tutto mi assillava una domanda: “Ma davvero c’è bisogno di un altro film sull’adolescenza?”. La risposta credo che venga spontanea: no di certo.
I giovani sono ormai un argomento stra-inflazionato, non solo nel cinema: basta accendere un televisore per essere bombardati da messaggi terroristici sulle abitudini degli adolescenti italiani: abusano di alcol, sesso e droga, e come se non bastasse, sono i più ignoranti d’Europa. Un coro di biasimo e paure che sembra avere relegato la percezione di chi attraversa quel periodo della vita in due macro categorie: quelli tipo gioventù bruciata, dediti a eccessi di ogni tipo; quelli tipo gioventù da bruciare, vittime passive della società dei consumi, attaccati ai cellulari e al televisore.
In tutta la confusione che mi si affollava nella mente, avevo chiaro solo una cosa: io avrei cercato di raccontare qualcosa di diverso. In primo luogo perché essere succubi della cronaca è un percorso che trovavo e trovo artisticamente sterile, e poi perché quello stereotipo non corrispondeva e non corrisponde all’esperienza maturata in anni di lavoro con e sui ragazzi.
Non voglio certo dire che siano solo problemi inventati dai media, tutt’altro, ma quello che a me interessava indagare e che chiedevo a quelli con cui entravo in contatto, era di mostrarmi quanto di meglio sapevano o sognavano di fare.
La gioventù che sono andato a cercare è quella che trasforma un garage in una sala prove, quella che passa le notti su un computer per realizzare un’animazione di 10 secondi, quella che si esalta per l’ultimo film del regista preferito, quella che legge poesie o piuttosto che non ha mai letto un libro ma ha dentro un’enorme bisogno di gridare al mondo il proprio valore.
Quella gioventù volevo fosse la protagonista di Diari, e per quella gioventù Diari sarebbe stato l’incubatore in cui far fiorire i propri talenti.
Mi sono imposto la sfida di fare un film togliendo tutti gli stereotipi legati a sesso, droga e violenza, e cercare se ci fosse ancora qualcosa di interessante da dire su questi ragazzi. La vicenda è divisa in tre capitoli, ma vanno letti come un unico discorso sulla crescita e sul rapporto tra adolescenti e adulti. In particolare ho centrato la mia meditazione sulla figura del padre, naturale o putativo, come elemento cardine nel percorso di crescita ed individuazione della propria personalità di adulto. Ne è venuta fuori una storia dal tono surreale, a metà tra favola e realtà, un ritratto intimo dei tormenti e degli entusiasmi che rendono intensi e confusi quegli anni.
Attilio Azzola