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"Mar Nero", la favola della badante e dell'anziana di Federico Bondi


L'opera prima di Federico Bondi si segnala per la finezza dei suoi intenti e per il tocco garbato, sincero e sensibile. Peccato per alcuni snodi narrativi svolti un po' frettolosamente.


Federico Bondi, classe 1975, ha un passato di autore di cortometraggi e documentari, spot e videoclip. "Mar Nero" è il suo primo lungometraggio che arriva nelle sale dopo avere ottenuto importanti riconoscimenti nei festival perlopiù stranieri a cui ha partecipato; a Locarno ad esempio, oltre al meritato premio ad Ilaria Occhini come migliore attrice, è stato ritenuto meritevole del riconoscimento della giuria ecumenica e di quello della giuria dei giovani.

Il film, come il giovane cineasta ama precisare, nasce dalla sua personale e passata esperienza di osservazione del rapporto tra sua nonna e la giovane donna che gli ha fatto da badante; l’opera prima di Bondi, che si è evoluta grazie all’apporto dello sceneggiatore Ugo Chiti, è così la storia della convivenza tra la burbera anziana Gemma e Angela, la ragazza romena che la segue dopo che il figlio l’ha praticamente abbandonata. Il film, che uscirà venerdì, è prodotto da Francesco Pamphili per Film Kairos e Rai Cinema e coprodotto da Ada Solomon per Hi Film e Giorgia Priolo per Manigolda Film.

Il mio intento”, spiega il regista, “era quello di restituire la vita delle due protagoniste nella loro autenticità; così ho cercato di adottare una forma essenziale e asciutta, priva di artifici e compiacimenti stilistici. Ho utilizzato spesso il piano sequenza per dilatare il tempo della recitazione e girare in digitale è stato certo il modo migliore per fare una sorta di ininterrotta presa diretta della realtà. Ho voluto che la camera mantenesse un atteggiamento più rispettoso possibile dell’ambiguità del reale, ed a questo scopo è stato certo fondamentale l’apporto del direttore della fotografia e operatore Gigi Martinucci”.

Quest’ultimo è anche l’autore della fotografia di tre mediometraggi diretti dal sottoscritto (e come Bondi lo ritengo decisamente significativo per la riuscita dei miei lavori). Di personale iniziativa mi è venuto quindi spontaneo contattarlo. Conosco professionalmente Gigi come un rilevante esteta ed un direttore della fotografia ricercato e raffinato, abituato ad ingegnarsi molto a livello di utilizzo di attrezzature tecniche. Mi sono invece sentito spiegare come, nel caso del film di Bondi, il suo operato è andato in una direzione decisamente diversa rispetto a come è di solito abituato a lavorare.
La cifra principale della mia prestazione nel caso di Mar Nero”, ha confidato Gigi Martinucci, “è ravvisabile prima di tutto nell’idea di sottrazione. Ho rinunciato infatti alla predominanza del colore ed in generale dell’illuminazione a livello di resa cinematografica per seguire invece principalmente gli attori e farmi portare da loro; non intervenire eccessivamente a livello tecnico si è rivelato il mio modo di mettermi al servizio della sceneggiatura dal momento che un faro di troppo avrebbe potuto portare gli interpreti in una direzione antinaturalistica che non era quella voluta dal regista. I movimenti stessi della macchina da presa sono sincronizzati con quelli degli attori; non sono andato a cercare niente che non fosse richiamato magari da un loro sguardo. La mia scelta di rimanere il più possibile invisibile è in realtà il modo con cui si può ravvisare il mio operato al film ed è di questo tipo di intervento tecnico che credo che il lungometraggio di Federico Bondi avesse bisogno”.

Come opera prima “Mar Nero” si segnala certo come un lavoro non solo dignitoso ma anzi ragguardevole perché capace di farsi apprezzare per la finezza dei suoi intenti e per il tocco garbato, sincero e sensibile. L’utilizzo della macchina da presa a spalla è inoltre una scelta indovinata che ben si adatta al piglio documentaristico che il regista intendeva rendere. Alcune incertezze narrative possono però essere rintracciabili specie in certi snodi drammaturgici svolti frettolosamente; in particolare in tutta la parte ungherese poi il “confronto” tra le due protagoniste non è sfruttato né sviluppato ma anzi quasi dimenticato, così che le psicologie di Gemma e Angela finiscono per risultare non approfondite come avrebbero invece potuto risultare. Certo è da segnalare l’ottima interpretazione di Ilaria Occhini a cui ben si accompagna quella della brava Dorotheea Petre premiata a Cannes nel 2006, nella sezione Certaine Regard, come migliore attrice.

28/01/2009, 08:53

Giovanni Galletta