Morando Morandini: "Credo di essere un empirico e poco teorico"
In un articolo della rivista americana “Sight & Sounds”, poi ripreso da Tullio Kezich sul “Magazine” del Corriere della Sera, si dice che della figura del critico cinematografico ormai non ce ne sia più bisogno. Pensa che oggi sia più giusto parlare di una trasformazione della critica o della sua breve scomparsa?
Morando Morandini: Qui si tratta di fare delle previsioni e io ci sono poco tagliato. Vedo che quelli che dovrebbero fare le previsioni di mestiere, ad esempio gli economisti, in questo momento ci pensano bene prima di farle. Per adesso mi limito a constatare che si è avuta una trasformazione in peggio. Che poi possa arrivare una rivoluzione o un cambiamento, più o meno radicale non saprei. La tecnologia è ormai così veloce che è difficile prevedere che cosa succederà tra dieci o vent’anni.
Le capita mai di tornare sui suoi passi e valutare in maniera diversa una pellicola o un autore?
Morando Morandini: Qui devo partire da un mio limite. Credo di essere un empirico e poco teorico. Non sono portato quando esce un film a cominciare lo studio per capire quali possano essere novità e conseguenze. Di fronte ad un certo tipo di film, considerati importanti, cerco di valutare i perché, anche se poi sono disponibile a cambiare idea. Dieci anni dopo l’uscita di una pellicola mi capita di leggere cosa ho scritto e pensare che forse avevo sottovalutato l’importanza o viceversa. Per parlare di me come giovane critico, mi resi conto solo in ritardo delle ragioni della metamorfosi di Rossellini. Quando ha cominciato a cambiare direzione, spostandosi, come è stato scritto in senso di rimprovero, dal neorealismo di “
Roma Città Aperta”, alla dimensione più spiritualista dei film con la Bergman, come molti altri miei colleghi giudicai quella trasformazione in modo negativo. Solo dopo ho cominciato a rifletterci su, dopo aver letto delle recensioni francesi, in particolare quelle di Chabrol da “
Arts”, e ho capito di aver sbagliato.
Leggendo il suo libro “Non sono che un critico”, si scopre che fin da giovanissimo le sue due passioni sono state la letteratura e il cinema. In particolare sembra che uno dei suoi desideri fosse quello di diventare regista. Se con il tempo lo fosse diventato, che regista sarebbe stato Morando Morandini?
Morando Morandini: Sul primo libro di cinema che mi è stato regalato da mia madre c’era una dedica “
a Morando che vuol fare il regista”. All’epoca avevo quindici anni e questo conferma quello che diceva Truffaut, riguardo al fatto che nessun bambino ha mai sognato di fare il critico da grande. Anche se avessi cercato di fare il regista avrei avuto grosse difficoltà perché una delle qualità è di saper lavorare con gli altri e sfruttare bene il loro lavoro, dal momento che il cinema è prima di tutto un lavoro collettivo. Basta leggere le lettere postume di collaboratori di Fellini per notare come, in modi più o meno affettuosi, egli fosse un grande succhiatore del talento altrui. Io sono negato sia in senso positivo che negativo e di questo non me ne vanto. Uno dei tanti rimproveri di mia moglie era quello di amare la solitudine e nella sostanza aveva ragione. Questa qualità che ha due facce mi è servita a non soffrire tanto in questi ultimi cinque anni senza di lei.
Per molti anni, in passato, si è interessato di critica televisiva. Oggi ci riuscirebbe ancora?
Morando Morandini:Non so se ci riuscirei, certamente sono contento di non farlo. Ho fatto il critico televisivo per dieci anni, quando c’erano solo due canali e tutto sommato era un lavoro semplice. Oggi un critico ha una scelta infinita. Basta leggere in parallelo le critiche su quotidiani diversi e si vede come raramente scelgano lo stesso programma da recensire. Oggi seguirei molto “
Report” di Milena Gabanelli che è mia amica e persona che ammiro molto, uno dei pochi programmi che la rete pubblica possa vantarsi. Avrà ricevuto trenta o quaranta querele che finora ha sempre vinto, ma il suo programma non è tanto seguito dai quotidiani. Fa un programma scomodo e se qualcuno si occupa di un programma scomodo parlandone bene, diventa scomodo a sua volta e non sono tanti i giornalisti di oggi che si comportano da scomodi. Preferiscono vivere più in pace.
16/02/2009, 14:58
Antonio Capellupo