Note di regia del film "Complici del Silenzio"
Il 1978 in Italia è l’anno del rapimento e della morte dell’onorevole Aldo Moro e della fine del fenomeno delle brigate rosse. Ma nel mondo il 1978 è l’anno dei Mondiali di calcio in Argentina. Lo stesso paese in cui, già da alcuni anni, la dittatura militare aveva cominciato ad attaccare i più semplici e normali diritti umani di un popolo passionale e libertario.
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Complici del Silenzio” - da un soggetto di Rocco Oppedisano, italiano trasferitosi in Argentina da più di vent’anni - non è solo la storia di un’oppressione e dei soprusi che sono stati perpetrati negli anni della dittatura, ma soprattutto racconta quel sentimento rivoluzionario che animava giovani studenti universitari, frange di comunisti e intellettuali in genere.
La storia viene raccontata attraverso lo sguardo di un giornalista italiano, a Buenos Aires per i Mondiali, che vede ciò che accadeva in quel giugno del ’78 con gli occhi dell’amore che lo unisce ad una giovane guerrigliera.
I suoi parenti di origine italiana, ma emigrati già da decine di anni, integrati perfettamente nella società argentina, sono i primi ad accondiscendere, e a voltare il capo in modo omertoso, complici del silenzio, grazie anche al genero, alto funzionario del governo; ma non appena vengono coinvolti direttamente con la cattura del figlio giovane studente, fatto sparire dai militari, si risveglia in loro una forza morale ed uno spirito reattivo che sembravano sopiti.
Credo che il film - grazie all’attualità di una recente sentenza italiana, che condanna all’ergastolo cinque ex-membri della marina militare argentina per i fatti di trent’anni fa - sia un’occasione preziosa per raccontare un triste periodo che non
può essere dimenticato; una tragedia che ha tutte le caratteristiche di un vero e proprio genocidio e che coinvolse moltissimi nostri connazionali. Mi sembrava inoltre interessante rilevare la contraddizione tra la cupezza di quegli eventi e l’atmosfera gioiosa e leggera che solo il calcio talvolta sa creare.
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Complici del Silenzio”, piuttosto che un atto politico, vuole essere una riflessione sulla complessità dell’animo umano e sulla capacità che hanno gli uomini di essere se stessi, privi di maschere e sovrastrutture sociali, proprio nei momenti di difficoltà e sotto pressione.
Ho cercato di raccontare la violenza suggerendola piuttosto che mostrandola, in una vicenda che da storia d’amore si trasforma in thriller, sposando nella tensione dell’azione e nell’interpretazione commossa degli interpreti il cinema di genere con quello d’autore, nella speranza di raggiungere un pubblico sempre più vasto pur trattando temi difficili, nel solco di Francesco Rosi, insuperato maestro del cinema italiano d’impegno.
Stefano Incerti