Note di regia del film "Sogno il Mondo il Venerdì"
Può succedere che la tua vicina di casa, persona tranquilla, ha ospitato uno che ha appena fatto una rapina e che a sua volta coinvolge un amico, ignaro dei fatti.
Quest’amico coinvolto, casualmente, ha appena tinteggiato la tua casa.
Tua moglie litiga con te per colpa della badante straniera, che è diventata la tua amante e contemporaneamente si è fidanzata con un malavitoso che ha portato in casa, a tua insaputa: le coincidenze possono essere molteplici e fra queste si può leggere un unico comun denominatore, come nel caso di questa storia corale.
La solitudine e la ricerca d’amore è ossessiva e si fa ancora più forte se a questa esigenza si somma la “banalità” dell’esistenza.
Dover pagare la bolletta e non avere soldi “diventa”un fatto morale che si spinge fino all’etica.
Una città come Milano con i suoi abitanti risponde esattamente alle esigenze di vita quotidiana globale, dove l’apparire ha la meglio sull’essere.
Il cinema italiano del dopoguerra raccontava delle miserie che questa aveva prodotto e De Sica con le sue storie è riuscito a cristallizzare quei momenti rendendoli eterni.
Producendo senza retorica una memoria di chi ha posato lo sguardo sulle meraviglie di film come “Umberto D.” o “Ladri di biciclette”.
Queste opere hanno condizionato fortemente il mio immaginario, ed è per questo che oggi l’esigenza di raccontare le nostre miserie si è affacciata alla mia mente.
Tutti parliamo e pensiamo allo stesso modo e non riusciamo a sganciarci dalle logiche che abbiamo reso inattaccabili.
Questo film è la ricerca a tutto tondo di un racconto che tenta di interrompere le logiche di narrazione “precostituite”, che tutti oggi chiamano “mainstream”.
È un gioco pericoloso perché ci si espone agli attacchi di tutti quelli che vorrebbero un solo modo di affacciarsi allo “spettacolo” che un film produce.
Tutto deve essere “detto”, nessun personaggio deve sfuggire alla trasparenza e tutte le azioni devono portare alla pulizia totale e al racconto di tipo televisivo, per non parlare del finale, che deve essere assolutamente propositivo, con il rischio che un film sul razzismo diventi paradossalmente un film razzista.
Il titolo, poi, deve contenere la parola” amore”, altrimenti il distributore si “arrabbia” e il film rimanere sulla scrivania…
Come si fa a pensare in queste condizioni alla libertà di esprimersi che si materializza con la sperimentazione?
Forse bisognerebbe chiarire a noi stessi, che la sperimentazione è la vera chiave di libertà, perché produce nuove cose e naturalmente bisogna anche accettare che questo modo porta in se come “conditio sine qua non” l’errore.
Pasquale Marrazzo