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Note di regia del documentario "Mirna"


Note di regia del documentario
La storia diMirna è quella di una mancanza e insieme di una ricerca: quella di Mirna attraverso le Ande per raggiungere il luogo che le dirà finalmente chi è; e quella di Monica smarrita nei ricordi, struggenti, appassionati, dolorosi, comunque sempre sfuggenti, unico possibile nutrimento e rimedio all’assenza di Mirna.
È un viaggio, quello delle protagoniste, che va inteso come doppio movimento. Un percorso fisico, quello di Mirna, di ricerca e di apertura sugli scorci innevati delle vette andine, maestose e lontane, tanto da sembrare irraggiungibili come quello che sta inseguendo; un percorso interiore, quello di Monica, intimo, ossessivo e conturbante, che scandaglia le ragioni di un amore e della sua fine.
Questo duplice registro ha dato forma al film, da un lato facendo aprire lo sguardo al paesaggio andino, nel tentativo di coglierne di volta in volta la vastità, la bellezza,
l’asprezza, la desolazione, in accordo con gli stati d’animo di Mirna che quel paesaggio attraversa. Dall’altro lato, trasformando la macchina da presa negli occhi di Monica, con l’obiettivo che si fa sempre più stretto sul movente del suo percorso emotivo: Mirna, il ricordo ossessivo degli attimi passati con lei a Buenos Aires, dove la città, però, non è altro che sfondo sfocato alla storia dei personaggi.
È il corpo di Mirna il vero protagonista delle lunghe sequenze metropolitane del film: un paesaggio indagato centimetro dopo centimetro, attraversato dallo sguardo di Monica alla ricerca spasmodica di fissarne il ricordo, per non perderlo e non
perdersi.
Di Monica infatti, che l’annullarsi nel sentimento ha reso immateriale, ci resta solo la voce che, che rincorre le immagini, le scavalla, come in un inseguimento tra il vissuto di Monica e il presente del viaggio di Mirna, unico possibile terreno di incontro al di là dello spazio e del tempo, la memoria.

Corso Salani