Note di regia del film "Baaria"
In base ad una delle innumerevoli etimologie possibili, Bagheria deriverebbe anche da Bab el gherid, che in arabo dovrebbe voler dire Porta del vento. Ma, da che mondo è mondo, noi l’abbiamo sempre chiamata Baarìa.
Si, Baarìa, provincia di Palermo, il paese dove sono nato e cresciuto sino all’età di ventotto anni. Troppi per don Fabrizio Salina, il Principe de Il Gattopardo, che sosteneva si dovesse abbandonare la Sicilia prima del diciassettesimo compleanno, per impedire al carattere degli uomini d’assimilare i difetti dei siciliani.
Io, dunque, ho fatto a tempo ad assorbirli tutti. Primo, certamente, il credere che il luogo in cui si è nati sia l’ombelico del mondo, anzi il mondo stesso. Ultimo, ma non meno grave, l’effimero rifugiarsi nel limbo dei ricordi una volta appurato che il mondo, in realtà, era sempre stato da un’altra parte e girava senza di noi.
Ecco, è forse per rincorrere l’ingenuità perduta il giorno in cui sono sceso dalla nave della Sicilia, o peggio, per essere coerente con le mie tare di baariòto, che da più di vent’anni (sebbene qualche traccia sia già emersa nelle mie opere d’ambiente siciliano) rimugino di farci un film su quella stagione ineffabile e senza tempo della mia vita in cui l’Universo nasceva a via Gioacchino Guttuso 114, si snodava da piazza Madrice lungo lo stratonello di corso Umberto I, e finiva alla rotonda di Palagonia. Poche centinaia di metri, tutto sommato. Ma percorrendole avanti e indietro per anni, potevi imparare ciò che il mondo non ti avrebbe mai insegnato.
Giuseppe Tornatore