Un pezzo della cultura siciliana nel kolossal
corale "Baaria" di Giuseppe Tornatore
Temperature bollenti - e non solo per il caldo dello scirocco - oggi al Lido di Venezia per l'apertura della
66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. E' toccato al nuovo film di
Giuseppe Tornatore, "
Baaria", aprire la rassegna cinematografica veneziana.
L'opera (tanto attesa) del regista siciliano, è stata accolta da pochi applausi tiepidi dalla stampa che ha visionato per prima il film, questa mattina.
La storia, un po' malinconica per essere sinceri e di chiara natura biografica, racconta le vicende di una famiglia siciliana attraverso la vita degli appartenenti a tre generazioni, Ciccio, Peppino e Pietro (nonno, figlio e nipote), nell'arco di tempo che va dagli anni trenta agli anni ottanta. La pellicola ripercorre un pezzo di cultura siciliana scavando alla ricerca del particolare antropologico, anche quello più piccolo e speciale che può esserci in una città come Bagheria. Pare che il film non sia piaciuto a qualche critico, mentre altri lo hanno definito un autentico capolavoro per forma e contenuti, per impegno e voglia di guardare in modo più profondo - ma forse meno soffocante - le umane vicende di una famiglia e di una realtà locale.
A differenza dei film precedenti,
Giuseppe Tornatore non si sofferma più su pochi personaggi e non li carica del compito gravoso di raccontare tutto da soli, ma affida il racconto a molti volti noti e ben conosciuti anche dal grande pubblico. Tra gli altri, infatti, ci sono
Ficarra e
Picone,
Monica Bellucci,
Leo Gullotta,
Raul Bova,
Vincenzo Salemme e
Beppe Fiorello.
"
Baaria" è la parola siciliana che sta per Bagheria ed è un paesino siciliano dove la vita si snoda soprattutto sul corso principale lungo poche centinaia di metri. Forse pochi per passeggiare, ma abbastanza per capire quello che è più importante imparare nella vita.
Non sarà il più bel film di
Giuseppe Tornatore, ma a
Baaria un kolossal corale di grande respiro e memoria personale, va certamente dato il merito di raccontare il comumismo negli anni del fascismo e di essere il resoconto storico, morale, sociale e politico di un'epoca che sembrerebbe tramontata, e di aver ripercorso le principali vicende storiche del dopoguerra, dalla riforma Agraria al Boom economico.
Giuseppe Tornatore parla anche del dialetto, sul cui uso proprio in questi giorni si discute tanto. Per il regista siciliano il dialetto è una ricchezza straordinaria, ma non va strumentalizzato per fini politici o sociali, come è stato fatto da qualche gruppo politico negli ultimi tempi. Le lingue, ci dice, sono come la musica, sono un arricchimento culturale e aggiungono sempre qualcosa, invece di togliere.
02/09/2009, 18:46
Claudia Verardi