Note di regia del documentario "Fratelli d'Italia"
Ho girato questo documentario perché l’Italia, al mio sguardo, è un paese che nel 2009 non riesce ancora ad avere un’identità multietnica, si nasconde dietro un’illusione di orgoglio nazionale e non vuole conoscere il valore positivo della multicultura.
Considero fondamentale ed emozionante ogni forma di melting pot: il crogiolo, l’amalgama, all’interno di una società di esseri umani, delle etnie, delle culture e delle religioni.
La popolazione che chiamiamo immigrata è in realtà il nostro nuovo tessuto sociale, una ricchezza che va accolta nella sua complessità e nelle sue inesauribili contraddizioni.
Questo documentario è il risultato di una collaborazione iniziata nel 2007 con l’Istitituto Tecnico Commerciale “Paolo Toscanelli” di Ostia. Quasi il trenta per cento degli studenti del Toscanelli è di origine non italiana, di provenienza molteplice: una comunità emblema di un territorio, quello di Ostia, la cui identità, molto più della capitale, è assolutamente multietnica.
Ho scelto come protagonisti tre adolescenti di origine straniera: le loro storie hanno come tema l’identità, raccontata nel privilegio della quotidianità, nell’osservazione dei loro rapporti interpersonali e dei loro conflitti.
Alin, nato in Romania: la sua storia è il conflitto e il desiderio di comunicazione, vissuto tutto all’interno della scuola, tra la sua appartenenza rumena e la comunità italiana di compagni di classe e professori che lo circonda per metà della sua giornata.
Masha, nata in Bielorussia, adottata da una famiglia italiana: la sua storia è il confronto con il proprio passato, con il ritorno alla propria origine.
Nader, immigrato di seconda generazione, nato a Roma da genitori egiziani: la sua storia è il conflitto, vissuto all’interno delle mura domestiche, con la propria cultura; il confronto tra il suo sangue egiziano e il suo essere italiano.
Ho provato a considerare il concetto di integrazione al di là della sua astrattezza utopica, ma calandolo all’interno della realtà. Mi sono accorto che l’integrazione, anche quando è fortemente desiderata, non sempre è realizzabile: è un percorso di esperienza e di formazione che non ha termine, e che necessita una difficile e responsabile ridefinizione dell’identità, in uguale misura, in entrambe le parti, quella autoctona e quella straniera.
Claudio Giovannesi