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Note di regia del film "La Cosa Giusta"


Note di regia del film
Domanda: Di chi è il film? Passate una giornata sul set e lo saprete. E’ di tutti quelli che ci hanno lavorato
David Mamet, Bambi contro Godzilla, Minimum Fax

Volevo raccontare questa storia.
Il mio approccio alla regia è stato fondamentalmente quello dello sceneggiatore.
Scrivere una sceneggiatura significa dirigere un film immaginario: visualizzare, in dettaglio, nel teatro della propria mente, e tenere insieme le parti con una certa coerenza.
La sceneggiatura è la prefigurazione di una regia. Sul set, cerco di dar corpo all' immaginazione – nel decidere i punti macchina, il taglio delle inquadrature - e di ritrovarla e saperla riconoscere - nei toni, nei gesti degli attori, nei luoghi.
Nella concitazione del set ho cercato di proteggere il copione scritto insieme a Giovanni De Feo. Ho tentato di preservare, di non spezzare un tessuto, di controllare gli incidenti e gli imprevisti, e di aggiungere, conoscendo le parti, ciò che si poteva trovare per strada, nel concreto delle location, confrontandosi con la sensibilità degli attori, con il direttore della fotografia e la troupe.
Sin dall'inizio abbiamo deciso di differenziare – nello stile di fotografia, nell'uso di pellicole diverse, nel tipo di inquadrature - i due luoghi del film, Torino e Tunisi, e di fare questo in rapporto al protagonista Eugenio. A Torino c'è un viandante che conduce le sue due ombre a percorrere luoghi spesso decentrati, marginali, anomici, talvolta sconosciuti. Siamo su di loro, sul loro rapporto, e quando allarghiamo ci appaiono spesso come sospesi in un ambiente, separati. Tunisi è invece ripresa nella sua “pienezza”, in un ambiente che avvolge Khalid, che affascina Eugenio, ma nel quale finisce per perdersi ed estranearsi.

I miei obiettivi, come regista, sono stati fondamentalmente due:
1)creare Personaggi che - per le loro contraddizioni, i loro dubbi e desideri, le loro decisioni, il loro mettersi in discussione, per la loro stessa opacità, per il rapporto che costruiscono tra loro - lo spettatore possa “portarsi a casa”, come un incontro con qualcosa di “vivo”, a più dimensioni, all'uscita dalla sala;
2)non annoiare nel raccontare una storia che – anche con le armi dell'ironia, dello spiazzamento, di una certa “leggerezza” - conduca però a una riflessione, a una conclusione amara, a delle domande piuttosto che a risposte, a dei dubbi da portarsi a casa, piuttosto che a una riconciliazione, a un “tutto alla fine si ricompone”.
C'è – credo - una lacerazione, una rinnovata “opacità” del mondo, una difficoltà a conoscere e confrontarsi, una diffidenza crescente verso l'estraneo. E credo che abbia un senso rappresentarla, senza ricomporre lo strappo nel racconto, per quanto ciò possa apparire, alla fine, gradevole e rassicurante.
Queste erano le intenzioni. So che tutti quelli che hanno fatto il film - dall'attrezzista che arrivava per primo sul set all'alba ai protagonisti che riempiono lo schermo – hanno lavorato con passione e convinzione. E spero che queste cose passino, un po', attraverso i fotogrammi.

Marco Campogiani