Note di regia del documentario "Indesiderabili
- Rivoluzionarie Professionali"
Parlare del campo di prigionia di Rieucros non è semplice. Non solo perché gli anni del campo sono stati relativamente pochi, ma anche perché è effettivamente un avvenimento storico piccolo ed isolato, rispetto alla Storia. Le stesse donne che ci sono state e che abbiamo avuto la possibilità di incontrare ed intervistare, ne parlano come di qualcosa di relativo rispetto alla Resistenza, i campi di concentramento, l’esilio, che molte di loro hanno dovuto affrontare in seguito. Però per tutte il campo è stato molto importante: hanno vissuto la fame, il freddo, la mancanza di libertà, ma si sono prese il loro tempo.
Questo è sicuramente quello che mi ha maggiormente colpito e questo ho cercato di sottolineare, creando l’atmosfera del tempo attraverso delle riprese in Super8 dei
luoghi, usando i loro testi per raccontare ed animando i loro disegni per descrivere.
La pellicola Super8 in b/n mi sembrava utile per ridare l’atmosfera dell’epoca, senza pensare di fare ricostruzioni storiche, ma cercando un’atmosfera. Perciò ho ripreso paesaggi e luoghi del campo e ho lavorato su dettagli che potessero restituirmi quelle donne: mani che lavorano a maglia, cuciono, disegnano, scrivono, cucinano. Mani di donne diverse e anche mani di bambini con l’abeceddario, perché al campo hanno imparato a leggere e scrivere.
Le fotografie scattate da loro restituiscono poi quei volti, seri e sorridenti, mostrano le baracche, le tute da lavoro, l’inverno gelido e le verdi montagne intorno. Nello stesso modo ho deciso di usare i loro disegni, che sono dettagliati e pieni, animando delle piccole parti: le lacrime di una, le grida di un'altra, la chiromante che legge la mano, la coda per il rancio…
La voce narrante nelle maggior parte del documentario è quella di Teresa Noce, che racconta una storia che è più nostra, storicamente, e mi permetteva di evidenziare perché si trovava in Francia in quel momento e cosa avrebbe trovato in Italia una volta uscita dal campo. Ma poi più voci possibili, nella loro lingua, soprattutto il francese che era la lingua franca, che riportano altre storie e altri luoghi e che lì si sono incontrate. Tutte accomunate dal fatto di essere considerate “indesiderabili”.
Mechtild Gilzmer, la storica tedesca che si è occupata dei campi di prigionia femminili, titola la parte del libro dedicata alle attività del campo “
Ecrire, c’est résister”, scrivere è resistere. Ed io sono d’accordo con lei, ognuna di quelle donne l’ha fatto, ognuna con i suoi mezzi: cucendo, disegnando, scrivendo ognuna di loro ha lasciato un segno di sé in quel momento e ha creato un legame con le altre e con il mondo. E si è sentita viva.
Chiara Cremaschi