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"L'Invasione degli Astronazi": una storia divertente
sugli extraterrestri che vogliono conquistare la terra
dopo essersi impossessati del cervello di Hitler


Parte da un'idea indovinata "L'Invasione degli Astronazi": gli extraterrestri si impossessano del cervello di Hitler subito dopo il suicidio nel bunker di Berlino e lo conservano fino a oggi certi di assicurarsi, rimettendolo in funzione, una nuova e autorevole guida per la conquista della terra. Nel frattempo sulla terra un rapinatore e il suo socio compiono un furto da 6 milioni di euro. Non sapendo di aver rubato i soldi nientemeno che a Satana in persona, riescono a mischiare la propria fuga dal maligno assetato di vendetta con l'invasione aliena comandata dall'altro maligno, quello con i baffetti. Mentre le rapide astronavi da combattimento a forma di svastica inceneriscono tutto e tutti, il diavolo, nei panni umani (si fa per dire) di un temibile agente immobiliare o similare, segue i suoi rapinatori che, a caccia di un bancomat, cercano di ritirare il malloppo appena trafugato. Fino allo scontro finale tra le due forze del male che...

Insomma la storia sembra divertente come le idee di realizzazione degli effetti speciali, pensati e costruiti dal regista stesso, Alberto Genovese.
Quello che stona è, come spesso accade nei film indipendenti/no budget/home made, la sbagliata abitudine di creare un prodotto che si avvicini alle esigenze del mercato, partendo da un allungamento del brodo fino a superare i fatidici 75 minuti di durata voluti dal ministero per dichiarare un film lungometraggio, o dagli esercenti per una (improbabile) programmazione in sala. E così, strada facendo, si allungano forzatamente i tempi della narrazione, del montaggio e delle inquadrature, appesantendo il film pensato e nato "diverso" e finito per assomigliare al cinema convenzionale. Perché non farlo di 60 minuti? Veloce, rapido senza 20 inquadrature di 25 secondi ognuna sulle svastiche volanti nel cielo che non aggiungono niente al racconto o allo spettacolo? Il ritmo ne risente e il ritmo non va sottovalutato, non si può scegliere di ignorarlo. La recitazione, la fotografia, la musica, il missaggio audio sono discrezionali e possono essere la firma dell'autore; il ritmo deve essere quello giusto. Se no è come provare a ballare l'Hip-hop su un valzer di Strauss.

02/03/2010, 13:21

Stefano Amadio