Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
!Xš‚‰

Dall’idea di "Pietro" a "Pietro"


Dall’idea di
La storia produttiva di "Pietro", quando noi della BabyDoc Film ne siamo entrati a far parte, era già cominciata, almeno idealmente. Daniele Gaglianone aveva pronta una prima sceneggiatura, scritta nel 2007, e ne aveva parlato con Gianluca Arcopinto. L’idea di realizzare un nuovo film di finzione di Daniele, quindi, era concreta, ma sospesa, perché in quel momento tutte le attenzioni erano rivolte al documentario "Rata Nece Biti".
Per quanto mi riguarda la storia della realizzazione di Pietro inizia con un’immagine sfocata. Il sonoro è un’eco indistinta che, ad un certo punto, ha cominciato a rimbalzare tra le mura di BabyDoc. Eravamo tra la primavera e l’estate del 2008. Si lavorava intensamente al montaggio di "Rata Nece Biti", ma ogni tanto poche parole o uno scambio di battute tra Daniele ed Enrico Giovannone, seduti alla postazione di montaggio, alludevano a questo nuovo soggetto. Emergevano elementi, brandelli di un’altra storia che cercava un fuoco. Io non ricordo quando ho letto la prima versione della sceneggiatura. Le nostre teste erano ancora troppo immerse nell’avventura bosniaca per leggere lucidamente ciò che avevamo davanti agli occhi. Però ricordo benissimo la sera in cui tutta questa vicenda ha cominciato, almeno per me, ad assumere i contorni della realtà, il momento in cui le ombre vaghe sono diventate un’immagine a colori, con dei contorni, seppure completamente sfocata.
La sera era strana, una riunione casalinga dopo‐cinema. Il film che abbiamo visto era nientemeno che Le straordinarie avventure di Mr. West nel Paese dei bolscevichi. Un film comico muto del noto regista sovietico Lev Kulesov, del 1924, musicato dal vivo. Il film racconta in chiave burlesca le disavventure di un cowboy catapultato dal West nella Mosca sovietica. Questa è la prima suggestione “politica” che fa da sfondo alla nascita di "Pietro". La seconda è che la sera era il 5 novembre 2008, poche ore dopo l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti.
Forse è stata anche quest’aria di speranza e cambiamento planetario, il soffio di un nuovo corso che avrebbe spazzato via le nostre angosce, che ci ha spinto a riunirci (io, Enrico Giovannone e Francesca Frigo di BabyDoc insieme a Daniele Gaglianone), dopo il cinema bolscevico, per parlare sul serio del film. Lì abbiamo pensato che "Pietro" si poteva fare veramente, che si poteva far diventare l’immagine a fuoco. Era l’idea di un film sull’Italia che ci circondava, su una società sempre più crudele. Una parabola nera che restituisse la sensazione di solitudine che si prova ad essere disarmati, in un campo dove l’unica legge valida è quella del “tutti contro tutti”. "Pietro" cominciava a delinearsi, quella sera: "Pietro" era questa creatura disarmata.

Non è stato facile capire subito cosa Daniele volesse raccontare: ogni tanto però riconoscevamo "Pietro" per strada, nelle colonne dei giornali, in noi stessi, e tutto diventava più chiaro. Questa sensazione si rispecchia perfettamente nel film, che adesso vediamo finito. "Pietro" è un film scuro, ma è tutt’altro che oscuro. E’ una presa di posizione netta e chiara e parla apertamente del mondo che ci sta davanti. Questa visione così definita, così “a fuoco”, è stata l’elemento fondamentale che ha reso possibile credere di fare veramente il film.
Un’altra tappa importante è stata una riunione con Arcopinto in un bar a Torino, durante una pausa di lavoro di Gianluca, che si trovava in città per un altro film. Alla riunione c’era anche Ernaldo Data, che poi avrebbe partecipato alla produzione. Quella riunione era fondamentale perché era l’occasione di parlare con Gianluca Arcopinto, dal momento che senza di lui non saremmo andati da nessuna parte. Parlammo della fattibilità del film, di ciò che ognuno poteva mettere in campo in termini di mezzi e lavoro, stilammo una prima lista di figure da coinvolgere. Alla fine della riunione la sensazione fu quella di una macchina che si era messa in moto.
Da quel momento Daniele ha lavorato molto alla sceneggiatura, che è cambiata completamente. Era necessario precisare questa storia scura, suonare soltanto “le note necessarie”, renderla lo specchio della visione lucida che stava alla base. "Pietro", storia di una società fatta di relazioni nette e impietose, forse fotografia di un momento storico, cronaca di un mutamento verso il peggio, è stato fin dall’inizio un film politico. Daniele era determinato a farlo. Se poi fosse stato fatto nel modo che avevamo in mente, con una struttura produttiva piccola e nuova al cinema di finzione, forse la sua forza sarebbe aumentata. Proprio perché era un film difficile, non allineato, doveva vivere della sua anomalia ed essere fatto nonostante l’industria del cinema funzioni in un altro modo. Anzi proprio per questo.
Per noi era l’occasione di lavorare su un film di finzione, che sentivamo vicino e che arrivava nel momento stesso in cui cominciava a fiorire la bella avventura di "Rata Nece Biti".

Quello che è successo nei mesi successivi, tra l’inverno del 2008 e la primavera 2009, cioè la vittoria del documentario al Torino Film Festival e poi la conquista del David di Donatello, hanno dato una botta di fiducia. Probabilmente quella che ha permesso di mettere a punto la squadra, nei vari reparti, che avrebbe fatto il film. Era una sfida, un’avventura nuova per noi ma anche per chi aveva molta più esperienza di noi nel cinema di finzione. Un certo clima di eccitazione intorno al progetto, il forte desiderio di molte persone coinvolte di lavorare con Daniele Gaglianone, la fiducia riposta in lui, erano il collante che teneva insieme un gruppo pronto a partire.
Per impegni importanti di Daniele sarebbe risultato molto difficile girare il film se avessimo superato novembre (2009). Forse avremmo ancora avuto una possibilità nei primi mesi dell’anno nuovo, ma era meglio non correre rischi. Così la pensava anche Gianluca Arcopinto, che ha dato la disponibilità e la spinta definitiva perché fossimo nelle condizioni di girare tra ottobre e novembre. Negli ultimi mesi le cose sono andate molto velocemente, tanto che fino alla fine si è dovuto ragionare intensamente sulle questioni di linguaggio e sulle questioni tecniche, a cominciare dal decidere finalmente con quale mezzo girare.
L’idea di partenza, da un punto di vista produttivo, era quella di un film veramente radicale, da realizzare con i mezzi che normalmente si usano per i documentari. La ristrettezza dei mezzi, però, doveva essere “spinta” a estreme conseguenze, a scelte di stile e di linguaggio in un certo senso anti‐cinematografiche, o diversamente cinematografiche.
Per esempio c’è stato un momento in cui, parlando con Daniele su come impostare il film, pensavamo, come suggestione, a film girati in video, tipo Medea di Lars Von Trier.
Questi discorsi creavano accese discussioni anche tra me, Enrico e Francesca, cioè BabyDoc Film. C’era chi pensava che rinunciare ad un lavoro accurato, cinematografico, per esempio nelle scelte di fotografia, avrebbe impoverito il film. Chi, dall’altra parte, sosteneva che proprio quella povertà sarebbe stata la sua forza, che, fregandosene completamente di come un film “andrebbe fatto”, e portando all’estremo gli aspetti da “cinema diretto”, sarebbe nato, con quella sceneggiatura, un oggetto assolutamente inedito sulla scena del cinema italiano. Più, però, si avvicinava il momento di girare, più ci si rendeva conto che sarebbe stato importante poterlo fare avendo a disposizione tutta la gamma di possibilità tecniche e fotografiche che un’impostazione cinematografica, seppur a basso costo, poteva permettere.
La soluzione per coniugare la massima resa qualitativa con un budget basso era girare con la cine‐camera digitale Red. La spinta finale e risolutiva verso questa scelta l’ha data, giustamente, il direttore della fotografia Gherardo Gossi. Visto il risultato a film finito è stata sicuramente la scelta migliore. Quello che poteva essere un esperimento radicale, in una forma che esasperasse l’urgenza della storia, è diventato un film vero, tecnicamente impeccabile, fotograficamente bellissimo, senza perdere nulla della sua valenza politica, che non sta soltanto nel contenuto del film, in quel “fascismo prossimo venturo” a cui la storia allude, ma nella stessa storia produttiva, che dimostra come si possa realizzare un film con tutte le cure che un lungometraggio di finzione richiede, sul piano della tecnica e del linguaggio, anche con un budget molto basso, se se ne condividono la necessità e l’urgenza. E se l’urgenza del progetto fa sì che attorno ad esso si coaguli un legame di solidarietà che è ciò che permette di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Se "Pietro" è la storia di relazioni basate sulla violenza, dentro una società in cui il disprezzo striscia e si insinua sempre più a fondo e l’unico criterio è quello della prova di forza, dove non esiste alcuno spazio per la condivisione, la storia della realizzazione del film è l’esatto opposto. Nelle settimane di preparazione, poi, soprattutto, in quelle delle riprese, ognuno a dato molto di più di quello che era chiamato a dare. Da Gherardo come direttore della fotografia, a chi, magari, si è prestato a fare il runner o l’aiuto elettricista, anche se non erano esattamente i ruoli che gli competevano. Questo è il motivo per cui siamo riusciti a girare "Pietro".

Un discorso importante, per quanto riguarda ancora il processo di passaggio dall’idea del film al film, penso che lo meriti il lavoro degli attori. Pietro Casella e Francesco Lattarulo, “nella vita”, compongono un duo comico attivo in teatro e televisione, e avevano già avuto due piccole parti nel film precedente di Daniele, "Nemmeno il Destino". Fabrizio Nicastro (Nikiniki) invece era uno dei due protagonisti del film. Pietro, Francesco e Fabrizio vivono nella stessa palazzina, familiarmente detta “la villa”, una sorta di comune metropolitana che, di volta in volta, può trasformarsi in laboratorio teatrale oppure in sala prove musicale, a seconda dell’ispirazione dei suoi abitanti. Quel luogo è stato fondamentale nella costruzione del film. E’ stato importante nell’ideazione, perché certe situazioni quotidiane, sketch, battute, fino ad una cadenza tipica di una certa periferia torinese e di un certo contesto, sono entrati fin dall’inizio nella costruzione dei personaggi.
Poi durante le riprese, per esempio perché il set dell’appartamento di Pietro e Francis è stato ricavato nel vero appartamento di Pietro Casella. Ma soprattutto è stato importante perché lì si è svolto tutto il training fatto dagli attori con Daniele. Tutto questo mentre al piano inferiore, nello studio di Lina Fucà, si preparavano scenografie e costumi del film.
Entrare “in villa” nelle settimane precedenti le riprese, significava vedere davanti agli occhi il film che nasceva. Quello che Daniele aveva in mente rispetto ai caratteri e alla recitazione è stato messo a punto con un lavoro quotidiano insieme agli attori per due mesi o più. Nella “villa” i personaggi del film, giorno dopo giorno, prendevano forma, voce e corpo. Sottolineo questo aspetto perché penso che sia stato molto importante nel percorso di realizzazione del film, e non solo per la qualità del film, ma anche, e in modo determinante, sull’ottimizzazione del tempo, che veniva sfruttato al massimo anche quando era poco, per esempio durante le riprese.
Questo lavoro quotidiano, svolto dentro la “villa”, dove i tre protagonisti vivevano insieme anche dopo le prove, dove intanto, in una stanza vicina, venivano preparati i loro costumi, dove Daniele aveva grande familiarità e libero accesso, ha davvero permesso che la vita dei personaggi del film si incrociasse con quella degli attori che li avrebbero interpretati. Quando è stato il momento di girare e gli attori sono arrivati sul set (a cominciare dalla casa di Pietro), tutto è stato molto naturale, i personaggi vivevano sulla scena senza intoppi, la sovrapposizione dei piani era totale.
Il fatto che i personaggi principali, Pietro in particolare, fossero stati concepiti da Daniele, fin dall’inizio, modellandoli sulle caratteristiche degli interpreti e che gli interpreti condividessero uno spazio di vita, ha fatto sì che Nikiniki, Francis e Pietro cominciassero a vivere e ad interagire in quegli spazi ben prima dell’inizio delle riprese. In una serata qualsiasi era facile sentire Francesco imitare Francis o Francis dialogare con Nikiniki. E’ stato un processo di mimesis progressivo, che ha portato, quasi in modo naturale, a passare dall’idea all’incarnazione della storia nel corpo degli attori.
Con loro Daniele ha fatto un lavoro quotidiano, tecnicamente accuratissimo, in una dimensione quasi “comunitaria”, di forte condivisione. E’ un aspetto di solidarietà e complicità che penso possa essere allargato a tutto il gruppo, tecnico ed artistico che ha lavorato a "Pietro", e che ha caratterizzato in tutti i momenti la realizzazione del film.

Andrea Parena