Note di regia del documentario "Arapha - Ragazza dagli Occhi Bianchi"
Africa. Tanzania. Bellissima, povera, nera, primordiale. Sogno di ogni documentarista, ma anche limite di racconto privilegiato e abusato. Quando dai produttori che hanno portato avanti il film mi fu proposto un soggetto sugli albini in Tanzania, la prima cosa a cui pensai era qualcosa che avesse a che fare con le diversità genetiche. Sapevo poco di cosa può significare essere un albino in Tanzania, il posto al mondo col maggior numero di albini. Ma al tempo stesso capii che l'idea aveva la capacità di essere diversa. Raccontare la terra dei neri attraverso una minoranza di bianchi. Il solito binomio, ma al contrario. Con discriminazioni che non sono solo ferite dell'animo, ma anche tagli netti e violenti a cui l’umana natura non ha razionalità da opporre.
Mi fu proposto anche un personaggio come Arapha che ho scelto senza esitare. Arapha è la vita, oltre le amputazioni e le uccisioni. Arapha è un viaggio che attraversa riti millenari e credenze mortali con uno scenario primordiale che diventa tessuto narrativo. Arapha è una ragazza, “povera e maltrattata” come tutti gli albini, che ha avuto la forza di finire un film su di lei non chiedendo mai aiuto e dandoci, invece, sempre la possibilità di riceverne. Le devo un atto di onestà e di altruismo, ed alla fine mi sento solo di dire che questa ragazza albina mi ha dato il privilegio di fare un film naturalmente, quasi senza che me ne accorgessi. L'ho seguita e basta.
Romano Montesarchio