Note di regia del film "Et in Terra Pax"
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Et in Terra Pax" non è un film sul disagio della periferia romana, o per lo meno lo è solo in parte. Abbiamo scelto di soffermarci sulla psicologia dei personaggi più che sul degrado, sulla disperata ricerca di una direzione da seguire più che sulle ragioni sociali dell’emarginazione. La borgata è il teatro di vicende in cui divengono lampanti da una parte le contraddizioni dell’essere umano e, dall’altra, i rabbiosi istinti di sopravvivenza e la volontà di riscatto.
Nel tratteggiare questa storia abbiamo evitato di esporre giudizi o critiche: risulterebbero quanto mai inutili. Abbiamo cercato invece di rappresentare una parte di questa realtà ora mescolando semplici fatti di cronaca, ora dando un valore quasi sacro alle gesta di individui comuni. È proprio questa la ragione per la quale abbiamo utilizzato un linguaggio scarno, crudo e a volte anche volgare (seppur spesso alternato a momenti più intimi o lirici), perché queste caratteristiche non possono prescindere dal carattere di quella fetta di Roma spesso dimenticata.
Il “Serpentone” del quartiere Nuovo Corviale ci è sembrato il luogo più adatto per raccontare un microcosmo di destini ed esistenze intrecciati fra di loro.
L’immenso e isolato palazzo che fa da sfondo alla storia è un’ombra che opprime e che allo stesso tempo protegge, che logora e che crea nuovi fermenti vitali: è un’isola, un quartiere, un’intera città, è la metafora stessa della vita di ogni individuo.
La ricerca di un altrove indefinibile è al centro del nostro film. Una ricerca che forse non finirà mai e che spesso costringe l’uomo a rifugiarsi nella propria solitudine. Il non agire è una via di fuga o un atto di impotenza? E se l’agire fosse comunque una sconfitta? Ogni sacrificio, sacro o profano, utile o sterile, è una disperata affermazione della propria esistenza.
Matteo Botrugno e
Daniele Coluccini