Note di regia del documentario "Ma che Storia..."
Mi sono più volte chiesto se, come me, anche la gente di questo Paese creda che la storia d’Italia, specie quella unitaria, sia difficile da rinchiudere in risposte nette, univoche. Ecco perché ho sentito il bisogno di questo film e di intitolarlo ma che Storia.
Oggi buona parte degli italiani non sembra avere un sentimento nazionale. E, considerando le cronache politico-giudiziarie di questi giorni, c’è da comprenderli, ancor più se ricordiamo che per secoli l’Italia è stata attraversata da eserciti di ogni provenienza. Insomma, la nostra lunga e complessa storia ha impedito e impedisce tuttora il compiersi di un amor patrio veramente condiviso.
Giuseppe Verdi, oltre a donarci la sua grande musica, ha ricoperto un ruolo importante di mediazione tra potere e popolo, al punto che ancor oggi gli italiani (non solo i leghisti) si commuovono ascoltando Và pensiero. Ma dove finisce il “teatro” e dove comincia il pensiero profondo? In Verdi convivono armoniosamente l’uno e l’altro, non so negli italiani.
Difficilmente sarei arrivato a questo film se non avessi conosciuto, grazie ad Ambrogio Sparagna, prezioso complice di questa mia ultima fatica, il patrimonio musicale di tradizione orale del Paese. E’ in questo patrimonio che individuo gli anticorpi di un popolo, in quella tradizione contadina che, contrariamente alla vulgata operaista, non affonda le proprie radici solo nella miseria e nelle ingiustizie, ma in un patrimonio culturale fatto anche di suoni e canti dal forte significato simbolico e comunitario
Ecco perché, malgrado tutto, mi sento italiano nel profondo e non credo che, pure apprezzando la prospettiva federalista di un Cattaneo, in divisioni geografiche che considero tardive. E’ stato anche il nostro cinema a far sì che questo sentimento si conservasse nel tempo: film belli e complessi come "
Senso" e "
Il Gattopardo" difficilmente si dimenticano.
Gianfranco Pannone